Il Messaggero, 10 aprile 2021
Biografia di Greta Garbo
Il 15 Aprile del 1990 moriva a New York Greta Garbo. Benché fosse lontana dagli schermi da mezzo secolo era l’attrice più famosa al mondo. E poiché lo è ancora, e probabilmente lo sarà in futuro, è giusto e piacevole ricordarla qui. Il suo vero nome era Greta Lovisa Gustafsson. Era nata a Stoccolma il 18 Settembre 1905, da una modesta famiglia che la inviò, giovanissima, a lavorare come commessa. Fu notata per la sua bellezza, e assunta come modella. Incontrò il regista Mauritz Stiller che le propose alcune particine secondarie di giovane seducente. In realtà il suo corpo non rispondeva ai canoni della bellezza classica: aveva le spalle larghe, i piedi lunghi e sul seno era passata, dicevano i maligni, la pialla di san Giuseppe.
LE FERITE
Aveva un’andatura impacciata, con atteggiamenti e abiti vagamente mascolini: giacche, pantaloni, cravatte. Solo il volto era di una perfezione assoluta. Forse fu questa combinazione di idealismo platonico e di ambiguità bisessuale a conferirle un fascino mai più ripetuto nella storia del cinema. Il regista lo intuì e nel 1925 la portò a Hollywood.
Gli esordi non furono strepitosi. L’America del primo dopoguerra aveva sofferto le stesse ferite morali dei cugini europei, e molti suoi giovani intellettuali, la cosiddetta lost generation, avevano abbandonato il Nuovo Mondo per immergersi nell’atmosfera del vecchio tra i caffè di Montparnasse, compensando i vizi dell’alcol e della droga con le delizie della letteratura, dell’arte e della filosofia. A Hollywood erano rimasti solo i vizi, e gli studi cinematografici pullulavano di dive appariscenti e trasgressive, sapientemente reclamizzate da una stampa morbosa. Ma a differenza delle sue grandi rivali, Marlene Dietrich e Joan Crawford, la Garbo condusse una vita quasi monacale.
MATA HARI
Interpretò vari film, sempre ammirata e forse desiderata, ma dovette attendere anni per raggiungere le vette del mito. In un’improbabile Mata Hari, si esibì in una languida danza del ventre, che vista oggi suscita il sorriso e l’ironia. Non era una rapace sirena traboccante sensualità, e come la maggioranza delle donne era più bella vestita. Quando il cinema muto lasciò il passo al sonoro, lei comunque era già celebre, tanto che i giornali scrissero Garbo talks, la Garbo parla. Aveva un inglese claudicante, ma la magia del suo volto copriva ogni altro difetto. Così diventò La Divina.
TOLSTOJ
Nel 1935 interpretò il ruolo di Anna Karenina. La difficoltà era duplice: da un lato il rischio di ridurre il capolavoro di Tolstoj al rango di una banale storia di tradimento coniugale, finita in un lacrimoso suicido espiatorio. Dall’altro, quello di gravare la protagonista delle contrastanti pulsioni emotive che ne fanno nel romanzo un esempio di ineguagliata psicologia femminile. Il grande scrittore russo non aveva seguito il criterio di Guerra e Pace, dove alcune pagine di altissima poesia erano interpolate tra prolisse meditazioni pedagogiche sul senso della storia. Tolstoj aveva scavato nel cuore di Anna molto più di quanto avesse fatto in quello di Natascia e di Sonia, e la complessità del personaggio sembrava incompatibile con una sua riduzione cinematografica. Ed invece la Garbo, con l’aiuto del regista Clarence Brown, fece il miracolo. A distanza di quasi un secolo tutto nel film è ovviamente datato, dalla rigidità cipressina del principe Karenin (Basil Rathborne sarebbe diventato più credibile nella parte di Sherlock Holmes ) agli occhi stralunati del conte Wronsky. Solo Lei rimane al di sopra del tempo e dello spazio: è l’eterno femminino non solo nella bellezza, ma anche nell’amore.
LA FUGA D’AMORE
Nel 1939 la MGM lanciò Ninotchka con uno slogan rimasto famoso: Garbo laughs, la Garbo ride. In effetti i ruoli precedenti avevano lasciato alla Divina poco spazio a momenti umoristici. Qui, al contrario, bastò una fragorosa caduta di Melwyn Douglas per scatenare nell’accigliata agente sovietica una risata omerica. La pellicola ha molti altri pregi per i quali merita di esser ricordata: ma quella risata era un evento liberatorio per la versatilità dell’attrice. Gli italiani la videro solo nel 1946, dopo le devastazioni della guerra, e forse contribuì un poco a risollevare il nostro morale depresso. Il nostro PCI mugugnò, dimostrando, come al solito, una solida mancanza di umorismo. La pellicola decretò il trionfo definitivo della Garbo, che nel frattempo, tuttavia, si era ritirata dalle scene.
L’ISOLAMENTO
Nessuno ha mai capito perché a trentasei anni, all’apice della bellezza, del lavoro e della gloria la più acclamata attrice del mondo abbia deciso di isolarsi dal cinema, dagli amici e dalla società. Forse perché, come la contessa di Castiglione che aveva velato gli specchi di casa per non vedersi invecchiare, voleva che tutti la ricordassero com’era prima dell’imminente declino. O forse perché ne aveva abbastanza dell’ambiente artefatto della celluloide, e voleva starsene per conto suo. Era sempre stata timida, riservata e solitaria. La sua vita sentimentale era misteriosa e un po’ ambigua. Aveva avuto una relazione con Leopold Stokowsky – allora il più noto direttore d’orchestra americano, dopo Toscanini – e a Ravello una targa ricorda la loro fuga d’amore in quell’angolo incantevole. Ma la donna era refrattaria a ogni unione duratura, e molti sussurravano di una sua segreta tendenza saffica, che a quel tempo era innominabile. In ogni caso, senza affetti stabili e senza figli, invecchiando precocemente, come accade a molte nordiche, la Divina visse nel suo appartamento di New York, uscendo solo bardata di vistosi travisamenti – cappellacci, pastrani e occhiali da sole che la rendevano ancor più vulnerabile. Morì sola, come tutti i personaggi di Tolstoj, e come la più parte di noi.
LA MAGIA
La sua figura rimase, e rimane ancora, il simbolo della bellezza perfetta e irraggiungibile. In Italia ebbe la fortuna di esser doppiata dall’ineguagliabile Tina Lattanzi, che aggiunse il fascino di una voce ancor più seducente di quella originale della svedese americanizzata. Hollywood nel frattempo aveva trovato altre icone, da Ingrid Bergman a Marilyn Monroe, e poco dopo l’Europa sarebbe impazzita per la scatenata sensualità di Brigitte Bardot e la purezza torbida di Catherine Deneuve. Ma nessuna riuscì a eguagliare la magia di Greta Garbo. Vedendola nei panni di Anna, o di Margherita Gauthier, anche l’animo più inaridito è tentato di rivolgerle l’invocazione di Faust: dolce Elena, rendimi immortale con un bacio.