Avvenire, 10 aprile 2021
Intervista a Umberto Tozzi
Nell’87 lo cantava in trio. Ora Umberto Tozzi lo canta da solo e, soprattutto, lo fa. Si può dare di più, da esortazione diventa così esempio concreto e concerto. Il primo in acustico per la stella mondiale di Gloria e Ti amo, finite persino in grandi produzioni internazionali come la serie La casa di carta e il film The wolf of Wall Street di Scorsese. «Sono felice di annunciare questo concerto perché spero mi dia l’opportunità di aiutare in maniera concreta i musicisti della mia band e tutto il mio staff tecnico – spiega il 69enne Tozzi –. Sono ragazzi con famiglia e figli, sono con me da vent’anni, avevamo un tour mondiale che ovviamente è stato rimandato e come tutti coloro che lavorano nell’ambito artistico sono stati penalizzati da questa pandemia. Questo concerto è per loro». Si può dare di più, appunto, con l’intero ricavato di Songs, in diretta streaming alle 21 dallo Sporting Monte-Carlo (biglietti in vendita su www.umbertotozzi.com), che sarà devoluto in favore dei lavoratori.Tozzi, quando le è venuta l’idea di questo concerto?
Durante il lockdown avevo immaginato una serie di concerti nei teatri e questo è un assaggio in attesa di poter ripartire. Spero anche che sia il mio primo e unico concerto in streaming, però, perché il live e il pubblico sono un’altra cosa. In ogni caso, oltre che un aiuto concreto ai miei musicisti e al mio staff, vuole rappresentare anche un momento di attenzione a tutto il comparto, che in questo drammatico anno è stato troppo dimenticato. Non voglio entrare nel solito giochino di attribuire colpe genericamente politiche perché io non faccio politica e nemmeno la amo molto, però per la musica in Italia è stato davvero un disastro e non ci sono stati sufficienti sostegni.
Per lei si tratta anche di un debutto, non aveva mai fatto un concerto acustico in 45 anni di carriera…
Sì, è un’esperienza inedita. Con me sul palco ci saranno un percussionista, Daniele Leucci, la violinista e corista Elisa Semprini e il sassofonista Gianni Vancini. Mettendo giù la scaletta mi sono reso conto che certe canzoni, che sono sempre state presentate con un sound molto più ricco, si sono rivelate complete anche suonate così, in modo essenziale. È come se avessi riscoperto un repertorio nuovo. Suonerò anche dei brani che non eseguivo da tempo e avevo quasi dimenticato, come Fermati allo stop, Gabbie, Il fiume dentro il mare o Gesù che prendi il tram, e mi stimola molto poterli riproporre in una veste acustica. È come presentare una canzone nella sua verità, come quando è nata, alla chitarra o al pianoforte. Non c’era nessun computer una volta... e c’era più purezza.
Ha scritto nuovi brani durante la pandemia?
Sì, è il mio mestiere e la mia passione. Poi vedremo che cosa ne sarà. Certo, quello che durante questa pandemia mi è mancato è stato il palco, con quell’adrenalina che solo il pubblico sa trasmettere. Dal punto di vista generale c’è però un aspetto positivo indiretto che il Covid può avere generato, ma che sta a ognuno di noi saper cogliere.
Vale a dire?
Rendersi conto di quanto si stava bene prima e comprendere di conseguenza che non aveva senso eventualmente lamentarsi. Abbiamo capito cosa vuol dire venire privati della totale libertà di mo- vimento e anche solo di un abbraccio. La pandemia è stata così l’occasione per fare un riepilogo di ciò che siamo e che siamo stati, con un insegnamento per il futuro a essere più felici con meno. Ma soprattutto dobbiamo imparare che tutto, anche le disgrazie personali e collettive, ha comunque un senso per la nostra vita.
Non pare però che, in generale, sia stato davvero capito… È vero. Al momento il Covid, e tutto ciò che ha comportato, ha piuttosto evidenziato il nostro lato peggiore. Ovvero quegli egoismi e quella mancanza di visione globale che fa sì, per esempio, che l’uomo stia tuttora distruggendo, persino più di prima, il nostro pianeta. Io spero che non si arrivi a un altro big bang, ma le condizioni ci sono tutte. Una prospettiva e un pensiero che mi turbano molto, sia per le reali conseguenze collettive, sia sul piano personale e intimo perché io sono una persona pacifica per natura e fin da ragazzo non ho mai avuto momenti di egoismo, di rabbia e di negatività.
Indole innata o apprendimento?
Credo sia nel mio Dna. Ho sempre avuto una propensione all’apertura che crescendo ho anche amplificato. Ho visto che pensare anche agli altri, a partire dai propri amici, anzitutto mi fa star bene con me stesso. Spesso ho la sensazione di avere sprecato il mio tempo quando non riesco a fare qualcosa anche per gli altri, è come se avessi sciupato un giorno. Ma il mio segreto, alla fine, è uno solo, sempre quello.
Può svelarlo?
Ho avuto la fortuna di poter vivere in un mondo fatto di musica. E il musicista a tratti vive quasi su un altro pianeta. Io ricordo che all’età di dodici anni rimasi rapito dal richiamo dei suoni. E io quel fascino fuori e dentro di me l’ho sempre inseguito, cercando di capirne l’origine e il perché. Così, da autodidatta, ho cercato di imparare e suonare la chitarra e il pianoforte, sentivo il bisogno di apprendere il mondo dei suoni e delle loro combinazioni per dare sfogo a un mio interiore bisogno di creatività. La musica mi ha sempre dato un grande benessere.
Predestinazione forse, per uno nato il 4 marzo…
Sono nato il 4 marzo come Dalla, anche se nove anni dopo. Ma per affinità sono stato musicalmente più legato all’altro Lucio, quello nato il giorno dopo, il 5 marzo. Il genio artistico di Dalla l’ho scoperto più in là negli anni, così come ho scoperto in età più matura molti altri nostri cantautori, a partire da De Andrè che ho sempre stimato anche se da ragazzo non era nelle mie corde. Io ero più rockettaro e mi rivolgevo ad altri tipi di energia musicale, come appunto quella di Battisti che aveva una evidente anima rock, ma non solo.
In questo periodo ha sentito Morandi, che ha proprio appena rivelato su Facebook dei gravi danni alla mano destra e della battaglia che dovrà affrontare per recuperarne l’uso?
Sì, l’ho sentito e sono felice che sia andato tutto per il meglio e che sia finalmente tornato a casa, anche se ci vorrà del tempo per guarire. Ma so che ce la farà. È che Gianni è un vulcano, non sta mai fermo. Del resto è nella sua natura. Già tempo fa ricordo che era caduto tagliando la legna e si era fratturato. Ha un dinamismo incontenibile, non riesce a stare in totale relax. Lui sì, vuol sempre dare di più come cantavamo con Enrico in quel lontano Sanremo di 34 anni fa. A proposito, devo ancora leggere l’ultimo libro di Ruggeri.
Anni turbolenti, quelli di piombo che rievoca nel suo romanzo tra terrorismo nero e rosso…
Ho un ricordo terribile di quel periodo così violento. Ero un ragazzo e rammento come fosse oggi il boato della bomba in piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969. Quel pomeriggio ero in Galleria del Corso dove c’erano gli studi della Numero Uno di Lucio Battisti. Mi trovavo lì con il chitarrista Massimo Luca e il bassista Damiano Dattoli per dei provini. Udimmo un botto pazzesco e uscimmo di corsa dallo studio, che era a poche centinaia di metri in linea d’aria da piazza Fontana. Ricordo un grande panico, il fuggi fuggi e il suono delle sirene. Anche quello, a suo modo, fu l’inizio di una pandemia.