Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2021
Il risveglio delle petrolifere in Borsa
Da Cenerentole a superstar dei listini. Le compagnie petrolifere, dopo anni di performance deludenti, nel 2021 sono tornate protagoniste in Borsa con un rally che sta rubando la scena persino ai campioni delle energie rinnovabili. L’inversione di rotta è particolarmente evidente negli Stati Uniti, dove l’Oil&Gas ha smesso di essere il fanalino di coda, assumendo addirittura un ruolo di traino per i record di Wall Street: il settore – che molti consideravano ormai condannato a un irreversibile declino – oggi è invece il migliore in assoluto, con un rialzo del 30% da inizio anno, contro il 9% dell’indice S&P 500, che continua a viaggiare intorno ai massimi storici sopra quota 4mila punti. Nessun altro comparto sta correndo altrettanto veloce sul listino Usa: i “Financials”, sul secondo gradino del podio, segnano un +18%.
Bolla verde?
L’assalto ai titoli green, tema dominante nell’anno della pandemia, ha invece perso slancio. Da gennaio i vertiginosi rialzi che da più parti avevano sollevato il sospetto di una bolla finanziaria si sono interrotti, cedendo il passo a una fase di correzione con ribassi a doppia cifra percentuale.
L’S&P Global Clean Energy Index, replicato da alcuni tra i maggiori Etf specializzati in energie pulite, ha perso circa il 17% quest’anno, sia pure dopo essere più che raddoppiato nel 2020. Sulla performance è probabile che pesi anche il riordino dell’indice, con l’inclusione di un maggior numero di società. Comunque sia, non si tratta di un caso isolato. Anche gli altri Etf ispirati alla rivoluzione verde (in tutto almeno una dozzina) hanno smesso di brillare come un tempo: tra febbraio e marzo c’è stata una lunga ondata di riscatti, che non si verificava da anni, e le performance nel 2021 sono in generale negative. L’Invesco Solar Etf, uno dei prodotti più amati dagli investitori attenti all’ambiente, perde circa il 15% in termini di total return, dopo lo sbalorditivo +229,5% del 2020.
Il fenomeno potrebbe essere transitorio: una salutare correzione per un settore che aveva corso davvero troppo e in modo troppo indiscriminato, gonfiando le valutazioni di qualsiasi società, comprese piccole start up che non hanno ancora prodotto alcunché e aziende con bilanci in dissesto. Una situazione che ricorda molto da vicino l’esuberanza (finita male) per le Dot.com di inizio millennio. I fondi ispirati a criteri Esg (ambiente, sociale e governance) l’anno scorso hanno attirato 350 miliardi di dollari, contro i 165 miliardi del 2019, stima Morningstar: troppi soldi, che si sono indirizzati verso un universo di imprese ancora ristretto. Il risultato è che i titoli dell’S&P Global Clean Energy Index hanno raggiunto una capitalizzazione pari a 41 volte gli utili attesi, secondo Bloomberg, contro una media (già elevata) di 23 volte per le blue chips Usa.
Gli investimenti green non hanno perso attrattiva. Tutt’altro. E lo dimostra il debutto da primato dell’ultima creatura di Blackrock, l’Etf Us Carbon Transition Readiness, che pesa le azioni nel paniere in base all’impegno delle società nella decarbonizzazione: il prodotto, lanciato giovedì, ha raccolto in un solo giorno 1,25 miliardi di dollari, superando del 50% il precedente record tra gli Etf, che resisteva dal 2019. Altri 475 milioni li ha raccolti, nello stesso giorno, la versione europea dell’Etf.
I motivi dell’inversione di rotta
Il mercato tende ad anticipare i cambiamenti. E la correzione dei titoli green in parte dipende anche dal fatto che molti investitori avevano comprato sull’attesa del maxi-piano di stimoli di Joe Biden (fortemente orientato alla transizione energetica), per poi vendere sulla notizia della sua approvazione.
Ragionamenti simili valgono anche per il risveglio dell’Oil & Gas, che anzi ha seguito fin troppo in ritardo il recupero delle quotazioni del barile, raddoppiate rispetto a un anno fa. Con la fine della pandemia la domanda petrolifera promette di accelerare. E comunque finora ha resistito meglio del previsto: in fin dei conti nel 2020 del Covid il mondo ha consumato greggio agli stessi ritmi del 2012, 91 milioni di barili al giorno, contro i 100 milioni dell’anno prima. Nel frattempo l’Opec Plus si è dimostrata capace di gestire il mercato, senza premere troppo in fretta l’acceleratore sull’offerta, mentre le società dello shale oil negli Usa sembrano aver finalmente imparato ad essere più morigerate. La maggiore attenzione alla salute dei bilanci ora le premia in Borsa con rialzi fino al 60-70%, addirittura superiori a quelli (comunque a doppia cifra) di cui godono le Major: da inizio anno Eni e Bp hanno recuperato il 20%, Shell oltre il 10%, mentre ExxonMobil – maltrattata per anni dal mercato – ha riguadagnato addirittura il 45%. Questa settimana la compagnia Usa ha anticipato un ritorno all’utile nel primo trimestre, Bp ha dichiarato che riprenderà i buyback dopo aver raggiunto gli obiettivi di riduzione del debito in anticipo di un anno.
In generale a favorire le petrolifere in Borsa c’è anche la grande rotazione dei portafogli, verso settori pro-ciclici e legati alla reflazione. Infine, ma non da ultimo, c’è il tema valutazioni: se i titoli green hanno corso troppo in fretta, nell’Oil & Gas c’è stato il fenomeno opposto. La Borsa non rispecchiava più il valore reale di molte compagnie, soprattutto tra le Major, sempre generose sul fronte dei dividendi e in molti casi oggi impegnate anche a decarbonizzare le attività.