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 2021  aprile 10 Sabato calendario

I rapporti economici Italia-Turchia

Macchinari industriali, automotive, tessile-abbigliamento e lavorazione alimentare. Ma anche prodotti chimici e industria dei servizi, in primis quella bancaria. La presenza di imprese italiane in Turchia, in termini sia di interscambio commerciale, sia di attività produttive, è radicata e importante, con oltre 1.500 imprese italiane attive e investimenti diretti che nel 2018 hanno raggiunto i 523 milioni di euro. Attratti in questi anni soprattutto dalla presenza nel Paese di una manodopera giovane e molto qualificata, a costi contenuti rispetto alle medie Ue. In territorio turco operano, direttamente o attraverso società controllate, alcuni tra i principali gruppi della nostra industria, tra cui Salini-WeBuild, Astaldi, Barilla, Ferrero, Benetton, Ermenegildo Zegna, Luxottica, Piaggio, Iveco, Stellantis, Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Fiat ad esempio è presente in Turchia dal 1969, quando, con il gruppo turco Koc, diede vita alla Tofas, società a capitale misto per l’assemblaggio di autovetture, con stabilimento in Anatolia e sede a Istanbul. Attualmente è l’unica presenza Stellantis nel Paese, occupa circa 900mila dipendenti e ha una capacità produttiva che si aggira sul mezzo milione di veicoli all’anno. 
Secondo gli ultimi dati forniti dall’agenzia Ice (elaborati su base Istat), l’interscambio tra i due Paesi ammontava, prima della pandemia, a quasi 18 miliardi (con 8,3 di esportazioni italiane verso Ankara e 9,4 di importazioni), mentre lo scorso anno è sceso a poco più di 15 miliardi, con un crollo delle importazioni (-21,2%) superiore a quello delle esportazioni (-7,4%). Le relazioni commerciali tra i due Paesi restano tuttavia importanti: la Turchia è uno dei dieci Paesi in cui si prevede la crescita maggiore dell’export di made in Italy nel prossimo biennio.
È comprensibile perciò che le imprese italiane coinvolte nel business tra i due Paesi guardino con una certa preoccupazione all’irrigidimento dei rapporti tra Bruxelles e Ankara, ma anche a possibili, nuove tensioni con l’Italia stessa, dopo le parole pronunciate giovedì scorso dal premier Mario Draghi e riferite al presidente turco Erdogan. È presto per dire se queste tensioni possano avere qualche effetto sulle relazioni commerciali e industriali. È difficile però che una eventuale crisi diplomatica possa minare interessi tanto radicati: «L’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia a livello mondiale e il secondo tra i Paesi europei, dietro la Germania – spiega Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia -. Il mercato turco è dunque uno sbocco importante per il business internazionale delle nostre imprese». È vero tuttavia che le la Turchia rimane un mercato «scivoloso» per le aziende, spiegano al Sole 24 Ore alcuni imprenditori che preferiscono non essere citati, a causa di una situazione economico-finanziaria che negli ultimi anni ha registrato più di una crisi, con il rallentamento della produzione e il deprezzamento della moneta turca, dovuti in parte a scelte politiche quantomeno discutibili. 
Tra tutte, la decisione di Erdogan di destituire per la terza volta in due anni, lo scorso marzo, il governatore della Banca Centrale. Una decisione che ha fatto crollare la lira turca, che ha toccato il minimo storico, e ora le imprese italiane – come tutto il mondo economico finanziario – guardano con grande interesse alle prime mosse del suo successore.