Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2021
Il caso Toshiba
Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore
Il Giappone alza le barricate, per ora solo a parole, contro l’attacco sferrato dagli inglesi di CVC al cuore del suo apparato industriale, la storica Toshiba. Presidente e Ceo invocano le regole delle autorità. Ma la difesa è debole e, soprattutto, ha il beffardo sapore del Cavallo di Troia: a voce, la conglomerata con 175 anni di storia alle spalle fa resistenza alla scalata. Ma nei fatti pezzi di nomenklatura nipponica, in primis le banche, si stanno schierando con l’invasore, il fondo di investimento straniero che si è lanciato in una scalata da 20 miliardi di dollari, la più grande nella storia della finanza.
Il Cavallo di Troia ha il nome di Nobuaki Kurumatani: di fronte a un terremoto senza precedenti per l’azienda e per il paese, l’amministratore delegato di Toshiba ha replicato ricordando che «l’offerta è non concordata», come se questo bastasse a fermarla o depotenziarla e che è soggetta alle autorizzazioni regolatorie. Vero è che le leggi giapponesi mettono molti paletti contro le scalate di Borsa e che gli spezzatini di aziende sono vietati (e nel caso di Toshiba un break-up di attività potrebbe far incassare tanto da permettere a CVC di ripagarsi i costi stessi della scalata). E Toshiba che fa reattori nucleari e batterie per sottomarini militari è un’azienda che gode del Golden Power del Governo.
Ma è un po’ poco, sperare solo nelle leggi, come contrattacco per un affondo da 20 miliardi di dollari. La debole difesa di Toshiba ha due motivi: primo, Kurumatani proviene dalla medesima CVC, il che desta qualche sospetto di collusione. Secondo, e più cogente motivo, la scalata, che faccia o meno parte di un piano più ampio, fa molto comodo all’ad. Kurumatani è finito sotto assedio del fondo attivista Effissimo, chiamato proprio dal ceo per salvare i conti dell’azienda, con 5 miliardi di dollari, dopo lo scandalo dei bilanci falsificati e il crack di Westinghouse, azienda nucleare americana controllata.
Da solo, però, Kurumatani sarebbe un Cavallo di Troia che va poco lontano. Dentro alla statua equina di legno ci sono nascosti soldati di ben altro peso: ieri è emerso che la JIC, la Japan Investment Corporation, la Cdp del Sol Levante, e la DBJ, altra banca pubblica, appoggiano la scalata. Lo schieramento di due colossi finanziari statali ha due significati: che il capitalismo nipponico appoggia gli stranieri, cosa che è una rivoluzione nel chiuso e refrattario sistema economico giapponese. E soprattutto che la scalata ha grosse probabilità di successo. CVC punta a lanciare un’Opa alla Borsa di Tokyo a luglio, a un prezzo di 5mila yen ad azione; per poi procedere al ritiro della multinazionale dal listino a ottobre. Ieri mattina le azioni di Toshiba sono calate del 4,5% a 4.200 yen.
Dentro la conglomerata, c’è una divisione che costruisce chip: si chiama Kioxia e da sola può valere fino a 37 miliardi di dollari, più del costo della scalata. Acquisizione da manuale: comprare un’azienda a debito e ripagarsi i debiti con gli asset già dentro l’azienda. La stessa Toshiba aveva sondato una possibile quotazione in Borsa, come scorporo, della divisione semiconduttori. Toshiba è una gallina con l’uovo d’oro dentro: di fatto CVC potrebbe diventare padrone di una delle più storiche e prestigiose multinazionali giapponesi senza nemmeno dover sborsare un dollaro. L’offerta di CVC è in teoria a un premio del 30% sui prezzi di Borsa, ma Toshiba soffre di sottovalutazione: i 16 miliardi capitalizzazione pre-scalata erano a forte sconto e il multiplo del Prezzo sul Valore di Libro (Price to Book Ratio) è di 1,8 volte, molto meno del concorrente Sony. Toshiba vale di più del prezzo messo sul tavolo da CVC.
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Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore
L’offerta di acquisto di un colosso come Toshiba, da parte di una cordata a trazione straniera, è già un evento fortemente simbolico, prima ancora di vedere se il tentativo riuscirà a superare gli ostacoli sulla sua strada. Lo è per molti motivi. Per il ruolo strategico del gruppo, nell’economia e nella sicurezza del Giappone. Per il valore dell’operazione lanciata dalla britannica Cvc Capital Partners, la più grande nella storia del Paese. E per il cambio di paradigma che si porta dietro: Tokyo è tradizionalmente ostile alle scalate straniere, anche se negli ultimi anni qualcosa è cambiato.
I fondi d’investimento hanno preso sempre più coraggio, come dimostra l’altro eclatante annuncio di questi giorni: l’offerta su Hitachi Metals, una delle più importanti sussidiarie di un altro conglomerato storico della Corporate Japan. Alla testa dell’operazione, in questo caso, c’è la statunitense Bain Capital, in cordata con Japan Industrial Partners e Japan Industrial Solutions. Sempre Bain, e sempre in cordata, nel 2018 ha rilevato per 18 miliardi di dollari Toshiba Memory.
Le società di private equity vedono il Giappone come uno dei mercati più ricchi di potenziali obiettivi. Oltre a Bain e Cvc, nell’elenco ci sono Kkr, Carlyle, Blackstone e Apollo. Sono attratte dalla dismissione di attività non essenziali da parte dei mega conglomerati, da anni impegnati a semplificare la tentacolare e non sempre redditizia rete di sussidiarie.
Le riforme della corporate governance, per indurre le aziende a creare più valore per gli azionisti, hanno ridotto l’impermeabilità dei manager di fronte alle pressioni degli investitori, che a loro volta si sono fatti più intraprendenti. La battaglia su Toshiba viene, così, considerata come un banco di prova anche su questo fronte. La corporate governance è un cantiere aperto da un decennio in Giappone: al centro dell’agenda dell’ex premier, Shinzo Abe, il Codice del 2015 è ancora sotto revisione.
L’offerta su Toshiba arriva dopo mesi di scontri tra i suoi manager e il fondo Effissimo (Singapore), primo investitore del gruppo con quasi il 10% delle azioni. E c’è chi, in una semplificazione della struttura societaria con eventuale delisting, vede i vantaggi di un processo decisionale più snello. Il presidente del conglomerato, Osamu Nagayama, ieri ha sottolineato che l’offerta di acquisizione «non è stata in nessun modo sollecitata o messa a punto» dal suo gruppo.
«La sensazione è che gran parte della base industriale giapponese sia gestita in modo inefficiente, con conseguente sottovalutazione dei conglomerati. Se l’operazione andasse in porto, ci potrebbe essere un effetto trascinamento», afferma Damian Thong, di Macquarie Group.
L’acquisizione di Toshiba, che tra le altre cose costruisce e gestisce reattori nucleari e produce le batterie agli ioni di litio utilizzate nei sottomarini militari, dovrà ottenere il via libera delle autorità nazionali, in base alla legge che regola gli investimenti esteri in società che si occupano di tecnologia e prodotti sensibili per la sicurezza nazionale.
Non sarà un processo rapido, come ha sottolineato ieri lo stesso Nagayama. Il gruppo partecipa allo smantellamento delle centrali nucleari, compresa quella di Fukushima, e sarà necessaria l’approvazione del Governo, ha ribadito Katsunobu Kato, capo di gabinetto del primo ministro, Yoshihide Suga. Tokyo si assicurerà che il gruppo resti in grado di rispettare i suoi contratti pubblici, nelle infrastrutture chiave del Paese e nella Difesa.
Un tempo marchio leggendario in Giappone, l’immagine di Toshiba si è sbiadita, dopo anni di passi falsi e scandali. Il conglomerato ha inventato la memoria flash, ha prodotto i primi radar e microonde del Paese (oltre a computer portatili e televisori, che non produce più). Ma è stato costretto a vendere la maggior parte delle sue preziose attività nel settore dei chip, a causa delle perdite accumulate con gli investimenti sul nucleare, con il fallimento della sua divisione negli Stati Uniti, nel 2017. Il suo campo di azione investe anche energie rinnovabili, ferrovie, ascensori e sistemi di archiviazione digitali.
Nonostante le difficoltà, «Toshiba è ancora una delle aziende leader del Giappone. Ha anche molte attività legate alle politiche del Governo, quindi sembra un po’ irrealistico che diventi una società privata di proprietà straniera», afferma Takuro Hayashi, analista di Iwai Cosmo Securities.