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 2021  aprile 09 Venerdì calendario

Intervista a Alessio Boni


Urla, minacce, insulti. «Avete mai sentito come trattava i suoi orchestrali, nelle registrazioni delle prove? Al confronto, come li tratto io sono rose e fiori!». Alessio Boni ride. Per rendere sufficientemente terribile il direttore d’orchestra che interpreta ne La Compagnia del Cigno dice d’essersi ispirato a lui: al mitico (e iracondo) Arturo Toscanini. «Come lui anche il mio professor Marioni sbraita: questa strada l’avete scelta voi, non ve l’ha ordinata il medico! E allora avete l’obbligo di darle il massimo!». Ora che la serie ideata e diretta da Ivan Cotroneo, già vista da una media di 5 milioni e mezzo di telespettatori con punte del 30 per cento di share, torna con la seconda stagione (da domenica 11 per sei serate su Raiuno) e che alla nascita dell’amicizia fra sette giovani musicisti subentrano le difficoltà che la vita da strumentista riserva loro, continueranno gli allievi del Conservatorio a chiamare «il Bastardo» il loro direttore-dittatore?
Esigente oltre il perfezionismo, inflessibile fino alla paranoia. Il professor Marioni è cambiato?
«È sempre lui: il Bastardo. Ma con una novità: anche lui, come è successo a me, è diventato padre – io di un maschietto, lui di due gemelli. E questo dà un altro senso alla sua vita: le conferisce serenità, equilibrio. Lo fa diventare perfino più paterno con i suoi allievi, che, cresciuti anche loro, adesso gli chiedono consigli come si chiederebbero ad un padre, piuttosto che ad un insegnante».
E poi, quanto a cattiveria, ora al Conservatorio arriva qualcuno che potrebbe fargli lezione...
«Sì, Teoman Kaià, un nuovo maestro interpretato da Mehmet Gunsur, già amico di gioventù dello stesso Marioni e di sua moglie Irene (Anna Valle) nel frattempo diventato una star internazionale. Fra i tre c’era stata un’antica storia di rivalità e tradimenti che non s’è mai risolta e che ora potrebbe riaccendersi...»
Ma nell’educazione di un ragazzo la severità paga davvero? Lei ha avuto maestri severi?
«Avrei voluto averne uno esattamente come Marioni. Le sue parole esprimono spesso delle verità fondamentali, che sono autentiche perle, per dei ragazzi di sedici anni. È il modo in cui le dice ad essere duro, spigoloso... Ma la sostanza resta quella. Ed è impagabile».
Questa serie racconta anche il valore dell’amicizia fra artisti. Un valore condiviso anche fra gli attori?
«L’amicizia è insostituibile, soprattutto per un attore. Fatalmente narcisisti, noi tendiamo a gradire soprattutto i complimenti. Difficile trovare qualcuno che ci dica la verità: più sei famoso meno hai amici sinceri. Ma dai miei, che sono ancora oggi quelli dei tempi dell’Accademia d’Arte Drammatica – Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni – sono sicuro che non avrò mai giudizi ipocriti».
La vita dei personaggi de La Compagnia del Cigno ruota attorno alla musica classica. E la sua?
«È dentro di me da sempre. Non suono strumenti, solo un po’ la chitarra quand’ero quattordicenne, ma adoro l’opera, ho visto centinaia di balletti, dal Bolshoi al Mariinskij, e quando ascolto la Norma di Bellini mi vengono i brividi sulla schiena. Prima di andare in scena, per trovare il mood giusto ascolto in cuffia Chopin, se ho bisogno di uno spunto poetico; Beethoven, se me ne serve un più vigoroso. La musica classica è per me come la poesia. Leggere riassunto in un solo verso il sentimento che io impiegherei pagine e pagine ad esprimere, è qualcosa di esaltante».
Per questo ha deciso di scrivere un romanzo autobiografico come Mordere la nebbia?
«L’ho scritto durante il lockdown, dedicandolo a Lorenzo, il figlio che a cinquant’anni ha stravolto tutta la mia vita. La nebbia del titolo è quella che respiravo da ragazzino, sulle rive del lago d’Iseo. È una metafora del futuro: m’impediva di vedere l’orizzonte, e allora in bici le correvo incontro per morderla, per scoprire cosa nascondesse, proprio come fanno i ragazzi nei confronti d’un futuro incerto ma pieno di nebulose promesse. È uno sguardo a ritroso su quel che ero e che sono diventato. Sì: anche grazie ai miei maestri».