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 2021  aprile 08 Giovedì calendario

La famiglia nel libro di Mellone

Nel tempo in cui ci si sposa sempre di meno e ci si separa sempre di più, viene quasi scontato chiedersi se la crisi del matrimonio – la forma istituzionale del giuramento di amore eterno – sia davvero irreversibile. È una questione di egoismo sociale, di debolezza dei legami, di narcisismo diffuso? Ci pensa ogni tanto qualche saggio scientifico e ogni tanto ci pensa la letteratura. Angelo Mellone, con Nelle migliori famiglie (Mondadori), ha scelto la seconda strada, seguendo un percorso che dai reportage politici lo hanno portato al teatro e poi ai romanzi. In verità Mellone, prima di scrivere un paio di libri fantasy e soprattutto due romanzi dedicati a una storia generazionale di giovani postfascisti da cui si sta ricavando una serie tv, aveva dedicato al tema della separazione qualche anno fa anche Cara Tu. Lettera a una ex moglie (Add), ma con questo libro il racconto passa dalla forma epistolare, intima e di denuncia, a quello della storia che ha una trama quasi cinematografica.
Tutto parte da un dramma: la perdita di un figlio, investito da un’auto pirata in corso Francia a Roma, il primogenito dei quattro ragazzi di Piero Cometti ed Elisabetta, due personaggi che più diversi non potrebbero essere. Piero è un famoso chirurgo plastico romano, figlio di un barone universitario legato al Pci, convinto in modo stravagante ma intrigante che l’estetica sia il nuovo terreno per realizzare il comunismo; Elisabetta, a sua volta figlia di un importante magistrato, è invece una conduttrice televisiva di origine pugliese dichiaratamente «di destra». Sono figli di dinastie ricche e potenti, la loro famiglia è invidiata dalla Roma che conta. Si sono conosciuti da ragazzi, il loro è stato un amore fortissimo, il loro gioco casalingo di destra e sinistra – Piero creativo e indulgente con i figli, Elisabetta più severa e metodica – ha prodotto fantasia e divertimento anziché conflitto, fino a quando la scomparsa di Flavio non manda improvvisamente tutto a pezzi. Il loro castello di certezze crolla, basta il soffio di una tragedia per far venire giù tutto e lasciare due cinquantenni nudi di fronte allo scatenamento di quelle che Mellone definisce «vanità» ma che potremmo anche definire desideri dittatori, capricci, ansie giovanilistiche, ambizioni smodate.
Sono situazioni che sono ben note a chiunque di noi e che l’autore trasferisce in un contesto privilegiato, in un crash familiare dove non ci sono terzi incomodi o problemi economici a disturbare una crisi anzitutto sentimentale, lo sfascio di una relazione di coppia talmente sicura di sé, e forse presuntuosa, da non percepire le proprie debolezze e la disfatta.
Qui Mellone sembra interrogare la sua generazione, i quaranta-cinquantenni, senza figli o magari con figli condivisi in famiglie allargate, poco disponibili a sacrificare in nome della famiglia e della prole il «diritto» alla propria libertà e indipendenza. Forse lui stesso si pone le stesse domande, caricandole addosso ai due protagonisti. Piero ed Elisabetta non fanno scenate in tribunale, non si buttano gli stracci addosso, non montano i figli contro l’altro ma, come in una magia nera, cominciano a disprezzarsi, silenziosamente, trasformando l’amore in rancore e così via, fino a quando una precisa richiesta dei tre figli li costringe a passare assieme una settimana di vacanza a Cortina d’Ampezzo, a casa dei genitori di lei.
È qui che comincia la vera storia, quando entriamo alla vigilia di Natale nel pronto soccorso di un ospedale. Piero rincorre una barella su cui è sdraiato Denis, il figlio più piccolo. In un fuoripista con il padre ha avuto una caduta rovinosa, è in condizioni critiche. Proprio per quella sera Elisabetta ha organizzato una cena in cui si può decidere la sua discesa in politica: un evento mondano per lei importantissimo si incastra con un dramma in corso. Così Piero ed Elisabetta sono costretti a convivere fino all’alba del giorno di Natale nella sala d’attesa dell’ospedale e, per la prima volta dopo anni, si trovano a condividere un problema.
Questo li spinge finalmente a fare i conti con la percezione l’una dell’altro, con chi sono e chi hanno di fronte, in una trama che man mano si popola e spopola di ruffiani, falsi amici, figli esigenti, fratelli anaffettivi, suocere in guerra, anziani saggi, medici imbarazzati, personaggi che appaiono e scompaiono – tranne Andrea, lo psicologo che seduta dopo seduta ci aiuta a conoscere Piero – lasciando ognuno qualcosa che indirizza la storia verso un affresco che pretende di salvare la famiglia dalla retorica della sua necessaria dissoluzione, così di moda nel cinema e nella letteratura.
Se non fosse per un tragico particolare che si svela solo all’ultima pagina, sarebbe quasi da definire una specie di favola natalizia – non a caso ambientata in una Cortina vuota, lunare e piena di stelle – che alterna pagine di grande amarezza ad altre molto dolci, nel modo in cui due persone che si sono amate tantissimo, e poi a dismisura denigrate, riscoprono che sotto la cenere dell’odio cova ancora qualcosa di buono, quantomeno la voglia di tornare a rispettarsi. Problemi che, come spiega il titolo del libro e come l’ex suocero ricorda a Piero, accadono ovunque, anche «nelle migliori famiglie», e che Mellone si è sforzato di presentarci nei dialoghi, nelle divagazioni, nello struggimento di una generazione tormentata dai sensi di colpa.