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 2021  aprile 08 Giovedì calendario

Intervista a Chiara Amirante

Chiara Amirante soffre da una decina di anni della malattia di Takotsubo, una cardiopatia da stress detta anche «sindrome del cuore infranto», che le procura tremendi attacchi di angina pectoris e la costringe a ingerire 15 farmaci al giorno. Eppure non è stata mollata dal fidanzato, anzi fu lei a lasciare lui, benché si amassero alla follia e già progettassero di sposarsi. La diagnosi se l’è fatta da sola: «Raccolgo troppo dolore». Il 24 maggio saranno trascorsi 28 anni. Quel lunedì del 1993 decise di varcare per sempre la sua personalissima linea del Piave e di scendere in trincea a combattere ogni giorno per salvare tossicomani, alcolisti, vagabondi, malati di Aids, schiave del sesso, ex detenuti, ragazze madri, bambini di strada, giovani disorientati e senza speranza. «Gli scarti», come li chiama il suo amico papa Francesco. Ma non marciava alla testa di un esercito: era completamente sola. «No, si sbaglia: avevo Gesù al mio fianco», corregge con un sorriso radioso.
Bisogna osservarla mentre parla, Chiara Amirante, per capire in che cosa consista la sua terapia, chiamata L’arte di amare, un percorso terapeutico riabilitativo basato sul Vangelo. Ai Piccoli della gioia, i più vicini fra i 6 milioni di seguaci che ormai conta in una sessantina di Paesi, ha dato da imbracciare quest’unica arma: la letizia. Tant’è che da quando la Santa Sede ha riconosciuto l’associazione Nuovi orizzonti, nella quale operano stabilmente 700.000 volontari denominati Cavalieri della luce (molti tolti dalla strada) e 1.020 équipe di servizio, la fondatrice ha imposto ai membri effettivi una promessa in più, rispetto ai voti di povertà, castità e obbedienza emessi dai religiosi: l’impegno alla gioia, appunto. Più che con le sue parole, raccolte in 18 libri, li converte con le opere.
Da chi ha ereditato questa fede?
«I miei genitori erano anticlericali e agnostici, ma sempre alla ricerca di risposte sul senso della vita e del dolore. Il gesuita padre Riccardo Lombardi, soprannominato “il microfono di Dio” per la foga oratoria che metteva nelle sue trasmissioni radiofoniche, parlò loro dei focolarini. A un raduno conobbero la fondatrice Chiara Lubich. Anziché sulla via di Damasco, caddero folgorati a Fiera di Primiero, in Trentino. Ero nella pancia della mamma quando fui portata nella basilica di Santa Maria Maggiore e consacrata alla Madonna».
Un destino già segnato.
«Appena laureata, davo una mano al Ceis di don Mario Picchi. Allora manco mi rendevo conto che esistessero le tossicodipendenze. Accorrevo fra i derelitti della stazione Termini dalle 19 alle 3 di notte, senza dirlo ai miei. La Caritas ci vietava di frequentare i sottopassaggi della metro. Troppo pericolosi. Erano il Bronx di Roma, il cuore dell’inferno».
Tiro a indovinare: scendeva proprio lì.
«Da incosciente. All’inizio non sapevo come avvicinarmi. Poi ho capito che erano solo assetati d’amore. Nessuno li aveva mai guardati. Cominciò a spargersi la voce della pazza che andava a trovarli».
Non le facevano nessuna richiesta?
«Una sola: come fosse possibile che una ragazza di buona famiglia andasse a rischiare la vita fra gente come loro».
E lei che cosa rispondeva?
«È possibile perché anch’io ho sofferto un dolore terribile come voi, ma Gesù ha dato la vita per me e mi ha permesso di non sprofondare nella disperazione».
Che genere di dolore?
«In sette mesi, nonostante le iniezioni di cortisone negli occhi, avevo perso 8 decimi della vista per un’uveite correlata con la sindrome di Behçet, una malattia rara, autoimmune, dolorosissima, che ti uccide lentamente. Mi fu diagnosticata dopo 30 giorni di ricovero al Policlinico Gemelli. Non riconoscevo più le persone a un metro di distanza, ero condannata alla cecità, epperò avvertivo una pace e una gioia irragionevoli, al punto che mio padre sbottò: “Chiara, ma l’hai capito o no che cosa ti attende?”. Di qui il desiderio di non tenere questa grazia per me. Andrò a cercare i più sfortunati, mi dissi. Non chiesi al Signore di guarirmi, ma solo di mettermi nelle condizioni minime per esaudire questo folle desiderio».
E che accadde?
«Pregai così la sera. La mattina dopo, in modo misterioso per chi non ha fede e miracoloso per me, ero perfettamente guarita. La professoressa Paola Pivetti Pezzi, una luminare nel campo delle uveiti, concluse: “Vada ad accendere tutti i ceri che può. Questa cosa non è scientificamente spiegabile”. Da allora ho un visus di 11 decimi, superiore al normale».
Come interpretò tale evento?
«La preghiera avvenne al santuario del Divino Amore. Subito dopo il prete proclamò il Vangelo del giorno, quel brano di Marco in cui un lebbroso supplica il Maestro in ginocchio: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. E Gesù, mosso a compassione, stende la mano, lo tocca e gli dice: “Lo voglio, guarisci!”. E la lebbra scompare».
Lo scrittore Antonio Socci l’ha paragonata a Caterina da Siena e Madre Teresa.
(Ride). «Mi pare fuori luogo. Loro erano giganti, io una poveraccia. Come la santa di Calcutta, mi sento solo una matita nelle mani di Dio. È Lui a scrivere».
Ha mai considerato di farsi suora?
«No. A 17 anni avevo una storia molto seria con un amico, pensavo che sarebbe diventato mio marito. A 19 lo lasciai per dedicarmi agli altri. Fu un taglio doloroso. Oggi è un consacrato sposato, che fa l’evangelizzatore in Nuovi orizzonti».
Ma questo non è il mestiere del clero?
«Sbagliamo a pensarlo. Abbiamo ridotto il cristianesimo a precetti, norme, doveri, rinunce, divieti. I ragazzi vanno a messa e provano tristezza anziché gioia».
Niente è più inespressivo del volto dei fedeli mentre ascoltano l’omelia di un prete, sosteneva François Mauriac.
L’uomo che voleva violentarmi
ora è frate. Ai miei chiedo un voto
in più: la gioia. Ho la «sindrome
del cuore infranto»: troppo dolore
(Ride). «I sensi dello spirito si sono atrofizzati. La fede non è razionalità. Io credo a Colui che ha promesso di essere con noi sino alla fine del mondo».
Tra gli sbandati ha rischiato la vita?
«Alla terza notte trascorsa a Termini una ragazza impasticcata mi si avventò contro, urlando: “Ti scanno!”. Pensava che volessi rubarle il moroso che stavo assistendo. Fu trascinata via prima che mi squarciasse la gola con il coltello».
È stato l’unico episodio?
«Una notte del 1991 un furgone mi tagliò la strada mentre rincasavo in motorino. La via era deserta. Il marcantonio alla guida manifestò le sue intenzioni. Sono la persona sbagliata, ho consacrato la mia vita a Dio, lo dissuasi. Si tramutò in un agnellino: “Ma davvero? Non ci posso credere. Una ragazza così bella...”. Mi rintracciò per lettera molti anni dopo. Si era riconosciuto nel mio libro Solo l’amore resta. Da allora aveva cambiato vita. Tradito da una donna che amava immensamente, era diventato frate».
Ma lei da sola che poteva fare per l’umanità infelice incontrata ogni notte?
«Niente, in effetti. Mi chiedevano: “Chiara, portaci con te”. È stato il vero dramma. Credevo di poter fare da ponte fra quei disgraziati e i centri di recupero. Ma per loro non c’era posto, come per Maria e Giuseppe a Betlemme. Chi mai avrebbe dato una casa a delle prostitute? La stessa Caritas al massimo ti offre un pasto, un vestito, un letto per una notte. Non poteva farsi carico di persone ancora giovani ma già morte dentro».
Perciò a chi si rivolse?
«Presentai un progetto al Comune di Roma, chiesi di darmi una scuola abbandonata. Tante promesse, ma nulla di concreto. Per i miei ragazzi servivano 25 milioni di lire al mese, io dal Ceis ricevevo solo 1 milione di stipendio. Dopo una settimana di preghiera, decisi di affidarmi ancora una volta al Vangelo: “Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”. Era il 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice. Lasciai tutto e andai a vivere con loro. Una pazzia, il buio totale. Quello stesso giorno, mi giunsero tre offerte di locali, da un centro di ascolto, da un parroco vicino a Termini e dalla San Vincenzo. La prima casa di Trigoria nacque così».
Ma quanto costa Nuovi orizzonti?
«Circa 20.000 euro al giorno. Non abbiamo entrate fisse, viviamo di carità».
In compenso è nel cuore del Papa.
«Francesco mi scrisse: “Pensavo di venirvi a trovare”. Il 24 settembre 2019 si presentò in segreto qui alla Cittadella del cielo di Frosinone. Mi aveva concesso di avvisare solo gli amici più cari».
E che amici: Andrea Bocelli, Fabio Fazio, Nek, Matteo Marzotto.
«Arrivò in auto alle 9.30 e si trattenne fino a dopo le 16. In quel periodo meditavo di dimettermi, dato il mio stato di salute. Il Papa mi chiese di rimanere come punto di riferimento per i ragazzi».
Le telefona, qualche volta?
«Fa di queste sorprese, sì. Io non mi permetterei mai. Però gli scrivo spesso».
Marzotto afferma d’essersi convertito «durante un viaggio a Medjugorje e dopo l’incontro con Chiara Amirante».
«Sono stata là una ventina di volte».
Ritiene veramente che la Madonna appaia da 40 anni a sei veggenti, il giorno 2 di ogni mese, alle 17.40 in punto?
«Non è così. È apparsa fino a un anno fa il 2 di ogni mese alla sola Mirjana. Ora la vedrebbero tutti i giorni Marija, Vicka e Ivan, il 18 marzo Mirjana, il 25 giugno Ivanka e il 25 dicembre Jakov».
Lei ha definito Ennio Doris «una bellissima Dio-incidenza». Il banchiere sarebbe una coincidenza celeste?
«Su suggerimento della moglie Lina, mia lettrice, mi chiamò a parlare di spiritualità a 300 manager di Mediolanum riuniti a Merano. Mi pareva impossibile. Ebbe coraggio. Da allora siamo amici».
Ma soldi e Vangelo vanno d’accordo?
«Non è Gesù a dire che chiunque lasci casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa sua riceve già al presente cento volte tanto? Solo la Banca del Cielo offre interessi così alti».