Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2021
Il Covid non preoccupa più le Borse
Che il Covid non sia più in cima alle preoccupazioni delle Borse non lo dimostrano solo i ripetuti record di Wall Street. Né il fatto che i listini europei siano tornati ai livelli pre-pandemia. Lo dimostra anche l’ultimo sondaggio che Bank of America ha realizzato tra i gestori di tutto il mondo: a marzo, per la prima volta, l’inflazione fa più paura del Covid sui mercati. Il caro vita e il conseguente aumento dei rendimenti dei titoli decennali Usa (saliti da 0,91% a inizio anno a 1,68% ieri) fanno dormire male gli investitori perché, nella loro testa, possono diventare il preludio per il loro più grande incubo: una stretta monetaria (cioè tassi in rialzo e meno liquidità) da parte della Federal Reserve Usa.
Ma hanno ragione ad avere paura? Per rispondere a mente fredda bisogna cercare di capire innanzitutto perché i tassi dei Treasuries salgono. E poi quali conseguenze stiano producendo sull’economia reale americana e sui mercati. Per poi vedere le conseguenze in Europa. E qui viene il bello: a parte qualche turbolenza sul Nasdaq (che comunque da inizio anno è in positivo del 6,7%), sull’economia Usa gli effetti sono relativamente blandi per ora. Ancora più risibili in Europa. Solo sui Paesi emergenti ci possono essere problemi (si veda pagina 2), ma questo difficilmente cambierà l’atteggiamento della Fed.
Il rincaro dei Treasuries
Partiamo dalle cause dell’aumento dei rendimenti decennali dei titoli di Stato Usa: si dice spesso sia dovuto alle cresciute aspettative di inflazione, le stesse che potrebbero costringere la Fed a “stringere” la cinghia della politica monetaria. Questo è vero, ma non del tutto. Se si guardano i rendimenti americani decennali si nota che sono saliti da 0,91% di inizio anno a 1,68% ieri. Nello stesso tempo le aspettative di inflazione medie annue per i prossimi 10 anni sono aumentate meno: da 1,99% a inizio anno a 2,35% ora. Infatti i rendimenti reali dei Treasuries sono saliti da -1,09% a -0,67%. Questo significa che non è stata solo l’inflazione a far “lievitare” i Treasuries. «C’è anche un altro motivo – osserva Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte -. I vari piani di stimolo voluti da Biden causeranno un forte aumento delle emissioni di titoli di Stato». Insomma: ci sarà un’incremento dell’offerta di titoli Usa, cosa che pesa sui prezzi e fa salire i rendimenti. «Non a caso il Tesoro Usa per smorzare questo potenziale impatto determinato dall’eccesso di offerta sta ipotizzando di finanziare le manovre anche tramite rialzo delle tasse», conclude Cesarano.
Effetti sull’economia Usa
La domanda da porsi ora è se il rincaro dei Treasuries stia portando verso l’alto l’intera curva dei tassi Usa. Cioè se si stiano stringendo le condizioni di finanziamento anche per famiglie e imprese. Sulle famiglie Usa in effetti una stretta è in corso: i tassi dei mutui trentennali (secondo i dati di Freddie Mac) sono saliti dal 2,67% di inizio anno al 3,18%: livello massimo da giugno 2020. Nulla di intollerabile però. Sulle imprese la situazione è più calma, almeno in termini relativi. Quelle con alto rating (investment grade) per emettere obbligazioni pagavano 97 punti base più dei titoli di Stato a inizio anno, e ora ne pagano 89. Le aziende a basso rating (high yield) sono invece scese da 383 punti base a 329.
È vero che i tassi in termini assoluti sono saliti per tutti, ma il calo degli spread dei corporate bond significa che per le aziende il rincaro è inferiore a quello subito dai titoli di Stato. Insomma: non è in atto una stretta creditizia, ma solo un graduale aumento dei tassi di mercato compatibile con un’economia che si riprende. «In ogni caso le imprese americane e di tutto il mondo soffriranno meno per un aumento dei tassi di mercato, perché quest’anno avranno minori necessità di finanziamento – osserva Mario Romano, direttore investimenti di Sella Sgr -. Da un lato perché hanno già raccolto molto tra il 2020 e l’inizio del 2021, dall’altro perché inizieranno ad aumentare la cassa grazie alle riaperture». Insomma: sull’economia Usa gli effetti sono tutto sommato gestibili. Ecco perché la Fed non fa nulla per ostacolare il rincaro dei Treasuries.
Effetti collaterali in Europa
Ancora più blandi sono gli effetti del rincaro dei Treasuries Usa in Europa. Motivo: la Bce sta facendo fuoco e fiamme per evitare che il movimento dei tassi americani si riverberi da questa parte dell’Atlantico. Se l’economia Usa, in gran ripresa, è infatti pronta per affrontare un aumento dei tassi di mercato, quella europea non lo è affatto. Un effetto trascinamento c’è stato: da inizio anno sono saliti i rendimenti dei Bund (i decennali da -0,60% a -0,32%) e quelli di tutti i bond europei. Ma molto meno di quanto non abbiano fatto quelli americani: non è un caso che il differenziale tra i rendimenti decennali Usa e quelli tedeschi sia su livelli storicamente molto alti, dopo essere salito da 148 punti base di inizio anno ai 200 attuali. Questa divaricazione ridimensiona, per ora, gli effetti negativi in Europa. «Lo spread Bund-Treasury è elevato e credo possa ancora salire – osserva Antonio Cavarero, Responsabile Investimenti di Generali Investments -. Il problema è che prima o poi dovrà ribilanciarsi, con un calo dei tassi Usa o con un aumento di quelli europei. Il primo caso avverrà se l’economia Usa dovesse perdere slancio, il secondo se fosse quella europea ad accelerare». Per ora, però, la situazione è gestibile. Almeno nelle economie avanzate.