Il Messaggero, 6 aprile 2021
Parla l’autore della biografia di Philip Roth
Nel 2012 Philip Roth decise che il suo biografo sarebbe stato Blake Bailey che aveva già narrato le vite di Richard Yates e John Cheever. Quando si incontrarono la prima volta, Roth chiese: «Hai mai scritto di qualcuno che non fosse sempre ubriaco o morto?». «Tu saresti il primo», replicò il biografo (oggi 57enne) e scoccò la scintilla. Roth aveva smesso di scrivere nel 2010 e otto anni dopo, ad 85 anni, sarebbe morto anche lui. Romanziere di culto, nacque a Newark (New Jersey) e consolidò la propria fama un romanzo dopo l’altro, da Goodbye Columbus a Pastorale Americana, da Il Lamento di Portnoy a La Macchia Umana che gli aizzò contro le accuse di misoginia. Scapolo impenitente, Roth è stato un genio assoluto ma i suoi libri così potenti, così scorretti e sovente fraintesi lo hanno indotto a ritrarsi dal confronto con il pubblico e la stampa, lasciando parlare la sua prosa, imitata e mai superata.
Nove anni dopo quel primo incontro, oggi in America sbarca nelle librerie Philip Roth. The Biography (W. W. Norton &Company pp.912 $40) e Il Messaggero ha intervistato l’autore: «Negli ultimi sei anni della vita, Philip ha risposto a tutte le mie domande, fornendomi l’accesso a qualsiasi cosa, dovevo solo chiedere». Il risultato è una biografia monumentale che consegna il composito ritratto di un geniale scrittore con lati ora teneri, ora sprezzanti e un carattere che poteva essere vendicativo. E chissà, forse fu proprio la sua essenza libera e politicamente scorretta, ad avergli compromesso la tanto agognata vittoria del Nobel
Mr. Bailey, Philip Roth le ha affidato la biografia con un compito: Non voglio che mi riabiliti, rendimi interessante. Cosa si aspettava da lei?
«Philip aveva la reputazione di essere un tipo permaloso, la nostra collaborazione è stata talvolta complicata ma mai noiosa. Comprensibilmente, c’erano cose nella vita privata di Philip in cui avrebbe preferito che non entrassi e ha sempre fatto in modo che conoscessi a fondo il suo punto di vista ma sapeva perfettamente quale fosse il limite».
Togliamoci il dente. Philip Roth come giustificava la mancata assegnazione del Nobel? Un gesto di sfida da Stoccolma?
«Philip ha sempre detto che avrebbe certamente accettato il Nobel, ma arrivati ad un certo punto, era abbastanza sicuro che non l’avrebbe mai vinto. Se credeva di meritarselo, invece, era una questione completamente diversa. È stato un dispetto da parte degli svedesi? Chissà? Ma è divertente pensarlo. Alexandra Schwartz sul New Yorker, ha detto che scelta di premiare Bob Dylan nel 2016, è stato il trolling definitivo di Philip Roth».
Che uomo era?
«Come ogni grande scrittore, Philip era una persona profondamente complicata e non può essere ridotto a un’etichetta: misantropo, misogino o qualunque altra cosa. Ad esempio, gli sarebbe piaciuto che il mondo sapesse che sette o otto delle sue ex amanti hanno visitato il suo capezzale quando stava morendo (io ero lì, le ho viste), per cui, qualcosa di buono doveva averla fatta, per forza. Ed ecco un’altra cosa: se tu fossi un amico di Philip Roth e ti ammalassi, non solo si offrirebbe di coprire le tue spese mediche ma telefonerebbe anche ai tuoi amici per indurli ad agire. A suo modo era un uomo adorabile».
Scelse volutamente di non avere figli?
«Sì. Era palese la sua avversione ad averne, perché avrebbero interferito con la sua scrittura ma i due figli della sua prima moglie oggi hanno sessant’anni, entrambi ricordano che Philip Roth ha salvato le loro vite: li ha trattati con dolcezza e si è preso cura della loro istruzione. Inoltre, Philip amava moltissimo i gatti ma si era così affezionato che ha dovuto restituire due gattini che aveva adottato perché, indovinate, lo distraevano dalla sua scrittura (sono troppo adorabili)».
Roth non si è mai censurato, non ha mai accettato il politically correct. Oggi avrebbe potuto scrivere Il lamento di Portnoy senza venir boicottato sui social media?
«Nel 1969, quando Portnoy fu pubblicato per la prima volta, Roth fu insultato pesantemente, gli dissero che era un demone sessuale, un ebreo che odia se stesso, un misogino. Al giorno d’oggi? Oddio, non saprei proprio».
Era davvero un misogino, un uomo ossessionato dalle donne?
«Philip non aveva nemmeno un grammo di monogamia nel suo corpo ed era perfettamente in grado di oggettivare sessualmente le donne e fare battute di cattivo gusto al riguardo (come spesso accade nei suoi romanzi). Ma questo lo rende un misogino? Philip ebbe amicizie per tutta la vita con donne formidabili e intellettuali; i suoi redattori preferiti erano donne, i suoi avvocati erano donne, il suo agente era una donna. Ripeto, Philip Roth non può essere ridotto a un’etichetta di alcun tipo».
Roth aveva un modo rigoroso di lavorare. La sorprese scoprire che dietro le sue pagine più selvagge ci fosse così tanta disciplina?
«Non pubblichi 31 libri, molti dei quali veri capolavori, se non sei una persona estremamente disciplinata in ogni ambito. La verità è che la maggior parte della sua vita adulta Roth l’ha trascorsa seduto alla sua scrivania».
Scrive che un giorno, nelle vostre lunghe sessioni di lavoro, avete fatto una pausa e Roth è andato in bagno. Lei si è accomodato sul sofà e pur non volendo ha sentito un flusso ovattato. Perché ha condiviso con il lettore questo momento così intimo?
«Sì, ho sentito il suo flusso ovattato attraverso la porta del bagno del suo piccolo studio in cui facevamo le interviste. Talvolta dovevamo fare delle pause per andare in bagno durante le nostre sessioni da sei ore. E sì, come biografo letterario americano è un’esperienza inebriante sentire il nostro più grande romanziere vivente svuotare la sua vescica mentre ti stai rilassando sul suo divano».