il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2021
La televisione in mano ai sessantenni
Con Linus (anni 63) è tutta un’altra musica. E con Fiorello (60 spaccati) è un altro ridere, con Maria De Filippi (59 e rotti) un altro piangere. Con Luca Zingaretti(atletico sessantenne) un’altra fiction, con Carlo Conti (sempre 60 anni) un altro gioco, e con Bianca Berlinguer (61 e mezzo), Lilli Gruber (63 pieni pieni) e Barbara Palombelli (67 anni) tutto un altro discutere.
La televisione – spesso anche la radio – è dei sessantenni. Ovunque ti volti un over segna il tempo, muove le danze, apre i dibattiti e noi, sessantenni in poltrona, accompagniamo l’auditel in questo mesto pellegrinaggio verso l’età televisiva avanzata, i capelli bianchi di chi parla e di chi ascolta. Pantofola su pantofola.
L’Italia è vecchia e la televisione è il suo spietato e felice contagiri. “C’è una corrispondenza culturale e ambientale, persino linguistica. È la fotografia esatta della società attempata che accende l’elettrodomestico. Dai trentacinque anni in giù la questione non esiste, per quella società la tv è il superfluo, l’inutile. Si è accorto che hanno dovuto richiamare in servizio Mara Venier perché Domenica In non faceva più un becco di un ascolto?”. Giorgio Simonelli, critico e storico della tv, afferma una cruda quanto banale verità. E sarebbe certo altrettanto banale la considerazione dei sessantenni al timone di un vettore per sessantenni se non fosse che la televisione è dominata dalla politica e dalle sue esigenze. Che sulla televisione investe perché ancora oggi, attraverso di essa, si espande, orienta, costruisce e poi raccoglie quel che si potrebbe definire la plusvalenza elettorale. “Non fai in tempo a conoscere il dirigente che già s’annuncia il nuovo. In Rai la velocità con cui si cambia il management ha ritmi inediti. Questa prova eccentrica di rotazione perpetua rende noi dipendenti consapevoli dell’ineluttabilità di questa condizione”, dice infatti Massimo Bernardini (65 anni) che prepara da un ventennio, e con una passione esemplare, il suo programma: la tv che parla di televisione (Tv talk, ogni sabato su Rai3). Se non è una novità che il Palazzo abbia le mani in pasta nella Rai e, direttamente o per interposto imprenditore, in tutte le reti private, grandi o piccine, è certamente però una bizzarria che i leader del Palazzo siano prevalentemente quarantenni o addirittura trentenni. La donna in ascesa è Giorgia Meloni (di anni 44) e il capo, ormai da anni, del partito più vecchio del sistema, la Lega, cioè Matteo Salvini, ne ha oggi 48 (appena 40 quando prese il potere). E vogliamo dire qualcosa dei Cinquestelle finora rappresentati dal trentaquattrenneLuigi Di Maio? Vogliamo ricordare che a sinistra la presenza femminile più innovativa è quella di Elly Schlein, vicepresidente dell’Emilia Romagna, trentacinquenne? E abbiamo dimenticato che Matteo Renzi quando aveva 42 anni era padrone del Pd?
Se il Palazzo è l’élite, e l’élite domina la tv, perché l’élite è giovane e invece chi la rappresenta, col permesso dunque di entrare ogni giorno in casa nostra, è in avanti con gli anni? “Perché forse quella che lei chiama élite semplicemente non lo è, perché il potere decidente non è nelle mani di costoro ma dei loro danti causa? Fui molto colpito, al tempo della grande crisi finanziaria, da una dichiarazione dell’allora governatore della Bce Mario Draghi: ‘Tranquilli, abbiamo il pilota automatico’. Spiegava la teoria del super governo con dei superpoteri”. Per il sociologo Marco Revelli il potere che conta non è quello che vediamo in Parlamento: “Non sono affatto convinto che le scelte per la Lega siano nelle mani di Salvini, e dico un nome per tutti. Lui va in televisione e ciancia, ma le decisioni paiono fuori dal suo orizzonte”.
Banche, assicurazioni, grandi imprese, magistratura. Il potere effettivo è canuto, a volte invisibile. Si farebbe solo rappresentare in televisione dalla politica, che diviene vettore e non gestore delle decisioni, con il Parlamento oramai degradato in ornamento.
Resta intatta la domanda: e se pure fosse così, perché i quarantenni al potere non scelgono coetanei per farsi rappresentare in tv? “Oggi è il tempo dei forever young, e il ceto televisivo vive di quella particolare condizione dell’intramontabile, di colui, cioè, a cui l’anagrafe fa un baffo. Manderebbe in pensione Fiorello?”, chiede l’antropologo Marino Niola.
La televisione azzera l’età, tanto che il più televisivo dei politici, Silvio Berlusconi, padrone di Mediaset, è l’unico ottantenne in attività infischiandosene che la sua Forza Italia vada consumandosi. La storia è scritta solo fino a quando Silvio ci sarà.
Fare televisione però è una fatica particolare: “C’è una competizione assoluta e poi una riserva di credibilità che si allarga negli anni. Noi telespettatori ci affezioniamo al conduttore del gioco preferito. Vogliamo Gerry Scotti (64 anni) o Paolo Bonolis (60 anni) e non gradiamo sorprese. Ci apparirebbero come imposture. La nostra è una richiesta esplicita che dà a questi personaggi la suggestione (spesso si fa realtà) che non c’è altri all’infuori di essi”, spiega Simonelli.
Nella perdurante, fantastica vita del conduttore televisivo, l’imperativo è non mollare mai. Succede così che Maurizio Costanzo (82 anni) ancora sbuchi di notte a tenerci compagnia, che Gigi Marzullo (67 anni) si disperi davanti alla considerazione di aver raggiunto la pensione.
“Eppure la Rai dette alla ventottenne Liliana Cavani, il cui curriculum, data l’età, era privo di fatiche e di successi, il compito di aprire le trasmissioni di Rai Due con un documentario sul Terzo Reich – ricorda Bernardini – e non devo certo io rammentare quale fucina di energie creative nuove, che provenivano dal basso, abbia liberato Raitre. Una televisione che riconosceva i giovani e investiva sui giovani”.
Oggi l’Italia li sta perdendo, e infatti Enrico Letta (55 anni) propone al Pd una battaglia per dare ai sedicenni il diritto di voto. Un artificio, un modo per farli contare di più allargando la loro base numerica. Ma internet li ha portati via dalla televisione e la transizione al digitale completerà l’abbandono rendendo felici quelli che fanno la televisione, “i figli della disillusione post sessantottina” come li definisce Revelli, e felici noi che la guardiamo. Ci riconosciamo in loro, avanzano nell’età come noi e meglio di noi mantenendo fermo il potere nelle loro mani. Ma tutti, e noi con loro, a parlare però di rinnovamento. Fare largo ai giovani!