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 2021  aprile 06 Martedì calendario

Groenlandia, quando i potenti guardano a Nord


Le temperature si alzano, i ghiacci si sciolgono, l’accesso alle terre artiche diventa sempre più facile ed economico. E la gelida Groenlandia, la più grande isola del mondo, finisce al centro di interessi geopolitici globali, simbolo e nodo cruciale della trasformazione dell’Artico per il suo ruolo strategico, cruciale sia per la sua posizione geografica che per le sue immense risorse. Talmente cruciale che due anni fa Donald Trump voleva addirittura comprarsela («Sarebbe un ottimo affare»), suscitando le reazioni sdegnate di Copenhagen.
Di sicuro c’è che le elezioni generali di oggi non saranno seguite con attenzione solo dai 56 mila abitanti dell’isola, ma soprattutto dall’industria mineraria internazionale e dalle super-potenze in gara per il controllo del Passaggio a Nord.
In ballo, per il territorio autonomo del Regno di Danimarca, ci sono essenzialmente due temi interconnessi: estrazione mineraria e indipendenza. I groenlandesi sono chiamati a decidere se sostenere o meno i partiti schierati a favore dello sfruttamento di vasti giacimenti di terre rare su cui le compagnie internazionali hanno messo gli occhi, che sarebbero decisivi, secondo alcuni, per la ripresa economica e l’indipendenza dell’isola artica da Copenhagen. Il risultato è tutt’altro che scontato: il precedente governo di coalizione è crollato a febbraio proprio a causa dei disaccordi sul progetto Kvanefjeld, un gigantesco piano d’estrazione di terre rare e uranio della società australiana Greenland Minerals (ora controllata dalla cinese Shenghe Resources Holding). La concessione delle miniere sarebbe andata a coprire una parte di quei 500 milioni di euro stanziati ogni anno da Copenaghen, un passo importante verso l’indipendenza, almeno quella economica. Ma il governo è saltato perché le istanze di chi non vuole venire «colonizzato» economicamente hanno prevalso. E oggi il partito d’opposizione verde e di sinistra Inuit Ataqatigiit (Comunità Inuit), avanti nei sondaggi, si oppone all’estrazione perché teme che possa minacciare l’ecosistema, mentre i socialdemocratici di Siumut, che dominano la politica dell’isola dal 1979, è dietro nei sondaggi anche a causa del sostegno al progetto minerario.
La terra degli inuit ha un prodotto interno lordo di 2,5 miliardi di euro e un’economia che dipende principalmente dalla pesca e dalle sovvenzioni di Copenaghen. Gli analisti sostengono da anni che la Groenlandia abbia bisogno di diversificare, migliorare i gravi problemi sanitari e abitativi e affrontare i problemi sociali tra cui l’alcolismo, gli abusi sessuali e il più alto tasso di suicidi al mondo. Ma per questo ci vogliono soldi, e mentre Copenhagen e Nuuk si facevano beffe di Trump e della sua idea strampalata, venivano siglati accordi con Pechino. Proprio la Cina prevede investimenti per 20 miliardi in miniere di ferro e zinco, la costruzione di aeroporti e basi per la ricerca «scientifica», mentre gli Stati Uniti si sono offerti di aiutare la Danimarca a costruire tre nuovi aeroporti e giocare d’anticipo sulla Cina, e la Russia aspira ad estendere il controllo sulle rotte marine. La corsa non è che all’inizio: il bottino delle terre artiche non si limita a uranio e terre rare (il giacimento potenzialmente più grande del mondo). Nel suo sottosuolo, sempre più accessibile, riposano giacimenti di rubini, diamanti, oro, zinco, per non parlare di petrolio e gas.
La Groenlandia è strategica anche per la Ue (unico “piede” nella partita artica), ma soprattutto per gli Stati Uniti e per la Nato che hanno nella base di Thule la postazione strategica di ascolto e di difesa antimissile più importante nell’emisfero settentrionale. Da qui si controlla, ad esempio, l’avanzata militare russa nell’intera regione. —