La Stampa, 6 aprile 2021
Intervista a Luca Zaia
La battaglia dei vaccini, le inefficienze dell’Europa, Draghi come Churchill e il Rinascimento prossimo venturo. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, fa il punto sulla situazione politico-sanitaria.
Zaia, vuole ancora comprare lo Sputnik?
«Se fosse autorizzato dall’Ema, sì. Del resto, sono stato il primo a proporlo. Tutti i vaccini in giro per il mondo hanno pari dignità: basta che funzionino. Invece siamo vittime di un retaggio culturale per cui se qualcosa arriva da Est e non da Ovest è una fregatura. Ma i cinesi hanno già inoculato 140 milioni di dosi e non sono alla preistoria. Beninteso, parlo solo di vaccini autorizzati».
Intanto De Luca l’accordo per lo Sputnik l’ha fatto. E lei ha polemizzato.
«Io non polemizzo. De Luca ha fatto un pre-accordo: quando lo Sputnik sarà validato, lui lo comprerà. Lo Sputnik è stato offerto anche a noi, ma in assenza di autorizzazione non l’abbiamo preso. Il via libera dell’Aifa o no ci vuole o no? E poi De Luca ha pubblicamente ringraziato l’ambasciatore italiano a Mosca. Qui il Governo deve chiarire, perché se il suo rappresentante a Mosca ha dato una mano a una regione, allora prendo atto del “liberi tutti” e ognuno si organizza per conto suo».
Così dà ragione a chi dice che le regioni hanno fallito e la gestione sanitaria va ricentralizzata.
«Se questa vicenda fosse stata gestita senza le regioni, avremmo vissuto un disastro molto peggiore. La catena decisionale fra una stanza del ministero di Roma e l’ultimo ospedale di montagna è talmente lunga che nemmeno un premio Nobel riuscirebbe a farla funzionare. Guardi me: sono due giorni che tribolo perché in Veneto sono mancate mille dosi di Pfizer e abbiamo dovuto mandare a casa della gente prenotata. La vaccinazione è un processo industriale che si gestisce sul campo, non mandando mail dal ministero. Chi vuole centralizzare ha una visione anacronistica, medievale dello Stato. L’autonomia non è né di destra né di sinistra, è solo utile, come già diceva Einaudi nel ’48. Il centralismo è l’equa divisione del malessere, il federalismo l’equa divisione del benessere».
Se la Lega avesse portato a casa l’autonomia con il Conte I, sarebbe cambiato qualcosa nella crisi?
«Sì. Un esempio pratico: in alcuni Paesi puoi comprare il test fai-da-te sul Covid al supermercato. Sarebbe possibile anche in Veneto, se fosse autonomo. Idem per i contratti con i vaccini: li avremmo fatti noi e ne sarebbero arrivati di più».
Però tre sere fa lei è andato in tivù a dire che crede in questo governo.
«E lo confermo. È un governo di responsabilità nazionale che serve per vincere la guerra al Covid. Come quello che fece Churchill per vincere la guerra al nazismo».
Draghi come Churchill? Il paragone è impegnativo.
«Il principio è lo stesso. Io Draghi personalmente non lo conosco, ma serve un governo che riduca al minimo il dibattito politico per concentrarsi sulle vaccinazioni. Mi sembra che l’abbiano capito anche i segretari dei partiti».
Il suo, Matteo Salvini, insiste a dire che bisogna aprire prima possibile.
«Basta giocare ai guelfi e ai ghibellini. Con responsabilità, Matteo ha spiegato che si riapre solo se ci sono le condizioni sanitarie. In pratica, se gli ospedali sono più vuoti che pieni. Nell’ultimo Dpcm di Draghi è scritto che saremo in zona rossa fino al 30 aprile, salvo la verifica dei parametri. Esattamente quel che dice Salvini».
La prossima settimana si riunirà forse la cabina di regia. Potesse scegliere, cosa riaprirebbe per primo?
«Questo devono dirlo i tecnici. Dobbiamo usare il buonsenso fra aperture e regole evitando che passi il concetto che il virus non esista più. Però ora i vaccini ci sono, il che vuole dire che prima combattevamo all’arma bianca, adesso con le armi intelligenti. C’è una bella differenza».
Cosa non sta funzionando?
«Ovvio: ci vorrebbero più vaccini. In Israele, nel Regno Unito e in Usa ne sono arrivati abbastanza, da noi no».
Di chi è la colpa?
«Dell’Europa. Mi sembra chiaro che chi ha preso gli accordi con i produttori non è mai andato a comprare il pane e il latte. Bisognava mandare a trattare qualcuno come Marchionne, non dei burocrati. Attenzione: io sono d’accordo che debba esserci una regia europea negli acquisti, altrimenti si scatena la guerra fra poveri. Ma la regia ha funzionato male».
In Italia, chi ha sbagliato?
«Non spetta a me dirlo. Nel mio caso, il bilancio lo faranno i veneti. Ricordo però che siamo in una situazione del tutto nuova, storicamente rara al punto che anche generazioni di virologi avevano studiato le pandemie solo sui libri e non sul campo».
Dica allora cosa si sarebbe potuto fare e non si è fatto.
«Siamo il Paese della burocrazia. Per avere sempre le carte a posto dimentichiamo di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Guardi AstraZeneca: sì, no, forse, sospensione, poi si riprende. E intanto in Inghilterra andavano come un treno. Che senso ha far valutare dall’Ema il Johnson & Johnson se la Food and Drug Administration americana gli ha già dato il via libera?».
Quando ne usciremo?
«Se in Veneto avessi delle forniture stabili, farei 80-100 mila vaccini al giorno e in un mese e mezzo vaccinerei tutti. Su scala nazionale, prima dell’estate si potrebbero immunizzare tutti gli over 60 ed entro l’autunno chiudere la partita».
Che Italia sarà, dopo?
«Credo in un nuovo Rinascimento. Dicevano gli antichi romani che si ricostruisce dalle ceneri, non dalle macerie. Noi ormai alla cenere ci siamo arrivati. Ma possiamo ricostruire, a due condizioni».
Quali?
«Prima: se non spendiamo i 209 miliardi del Recovery in monopattini e banchi a rotelle. Seconda: se iniettiamo liquidità alle imprese e quindi al lavoro. Il senso della Lega al governo è tutto qui». —