www.repubblica.it, 5 aprile 2021
Le donne sindaco
"Le sindache d’Italia. Viaggio nella storia delle amministratrici italiane” è stato scritto per le edizioni Reality book da Andrea Catizone, avvocata e giurista che dirige il dipartimento pari opportunità della Lega delle autonomie locali, e Michela Ponzani, ricercatrice di storia contemporanea, scrittrice e autrice di programmi culturali per Rai Storia. Un libro che ricostruisce le schede biografiche di 26 sindache italiane dal 1946 a oggi – nel 2021 le sindache guidano soltanto il 15% dei comuni italiani – con una particolare attenzione alle prime sindache post-guerra, donne passate in molti casi dalla lotta di Resistenza e dall’opposizione al fascismo alla guida di comuni che andavano ricostruiti materialmente e nello spirito dei loro abitanti. Alle amministrative del 1946 le donne votarono in 436 comuni, diventando elettorato attivo e passivo per la prima volta. Circa 2 mila furono le donne candidate, molte furono elette consigliere, dieci diventarono sindache. “Nel periodo post bellico si è generato un contesto storico di grandi trasformazioni dentro il quale proprio le donne esprimono al meglio la loro visione innovativa e mettono al servizio della causa comune, a partire dalla dimensione locale, un entusiasmo che non si stacca mai dall’analisi della realtà e dei bisogni essenziali degli esseri umani perché abituate a vederli, sentirli, conoscerli e curarli”, nota Catizone. Il 2 giugno 1946, il giorno del voto sul referendum tra monarchia e repubblica, verrà definito da Filomena Delli Castelli, eletta con la Dc nella Costituente e sindaca di Montesilvano nel 1951, come "il giorno in cui le donne si prendono la storia”.
È un punto fondamentale della storia delle donne in politica: perché nella biografia di tante di loro è evidente come sia la formazione sociale e culturale da cui partono e in cui vivono a dirigere la loro azione amministrativa. Come Ninetta Bartoli, sindaca del comune sassarese di Borutta dal 1946 al 1956, eletta con l’89 per cento delle preferenze, che in dieci anni fa costruire l’asilo, le scuole elementari, l’acquedotto, una casa di riposo, una filiale del credito agrario e una serie di iniziative in campo sociale per offrire lavori qualificati alle donne, o la nuorese di Orune Margherita Sanna, sindaca antifascista dal 1946 al 1960 che qualche anno prima della sua elezione scriveva: “Abbiamo fatto molto in questi anni. Le nostre ragazze hanno imparato a uscire di casa, a parlare e organizzare i gruppi in parrocchia. Abbiamo imparato a pensare”. Da sindaca fondò la cooperativa di pastori, fece costruire le prime case popolari e si impegnò in prima persona per l’educazione dei giovani. Il settimanale Noi donne scriveva di Ada Natali, prima sindaca di Massa Fermana, che “se hanno cuore, intelligenza, sensibilità, spiccato senso di umanità e di giustizia, le donne possono fare in politica meglio degli uomini”. Lydia Toraldo Serra, sindaca di Tropea nel Dopoguerra, creerà negli anni Cinquanta la sede locale dell’Omni per garantire assistenza alle madri nubili e ai bambini abbandonati, e non era impegno da poco visto che fino ad allora per le madri senza marito l’unico lavoro era quello di domestica. Ed è anche grazie alla battaglia della futura sindaca di Palestrina Angela Maria Guidi Cingolani che verrà abrogata nel 1963 la clausola di nubilato nel diritto del lavoro, che prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio (anche se come abbiamo visto spesso su questa newsletter non è che i diritti delle donne lavoratrici siano l’Eden oggi).
Il pane e le rose, eccoli qui: i bisogni essenziali di comunità stremate dalla guerra e il desiderio di migliorare la condizione sociale e culturale dei giovani e delle donne, partendo dall’alfabetizzazione ma arrivando a riconoscere diritti alle madri sole, uniti grazie allo sguardo diverso sul mondo delle donne, una diversità che è ricchezza, e questo dovremmo ricordarcelo sempre.
Non fu tutto facile, ovviamente. E quello “straordinario momento di emancipazione che fu la guerra per le donne” si incasellò invece in dinamiche più tradizionali, in cui lo spazio pubblico delle donne si restringeva e in cui regole morali rigide (vedi quelle del Pci) cozzavano con i principi di progresso e di apertura di cui a parole si riempivano i dirigenti dei partiti. Nel 1958, ricorda il bel libro di Catizone e Ponzani (che arriva fino alle sindache dei giorni nostri, come Raggi e Appendino), il settimanale Vie Nuove pubblicò i risultati di una inchiesta sulle donne. L’inchiesta venne pubblicata con un commento di Miriam Mafai dal titolo ’Eva maggiorenne’ che diceva: “Isolata per secoli nella sua casa in un ristretto cerchio di interessi e in un monotono succedersi di avvenimenti, mentre l’uomo affronta il mondo con tutti i suoi imprevisti, la donna ha in effetti assunto nel tempo le caratteristiche che meglio le avrebbero consentito di resistere e di assolvere alla funzione che le veniva affidata: e si è fatta perciò paziente, precisa, ordinata, altruista, economa e astuta”.