Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 04 Domenica calendario

Ritratto di Chimamanda Ngozi Adichie

Dovremmo essere tutti femministi», dice con un sorriso Chimamanda Ngozi Adichie: non ama i giri di parole, e ha scelto questa affermazione come titolo di una Ted Conference che ha suscitato enorme scalpore. È una donna estremamente carismatica, che tra i tanti doni, ha anche quello dell’ironia. Il suo sguardo è intenso al punto da intimidire e il portamento è maestoso, antico, da principessa Igbo, l’etnia di cui fa parte la sua famiglia. «Insegniamo alle ragazze a rimpicciolirsi - spiega con la naturalezza di chi non ha bisogno di alzare i toni - a fare di loro stesse una versione minima di quello che potrebbero essere. Diciamo loro: "Puoi avere ambizione ma non troppa. Puoi avere successo, ma non troppo, altrimenti minacci l’uomo". Perché ci si aspetta che io, da donna, aspiri al matrimonio come la cosa più importante. Io ritengo che il matrimonio sia fonte di gioia, amore e supporto reciproco, ma perché insegniamo alle ragazze ad aspirarvi e non facciamo lo stesso con i ragazzi? Noi educhiamo le ragazze a competere per l’attenzione degli uomini. E insegniamo loro che non possono avere l’atteggiamento nei confronti del sesso che hanno gli uomini».
La rabbia
La conferenza ha già avuto on line 5 milioni di visitatori e un’infinità di commenti, dall’entusiasmo agli attacchi personali. Lei non si tira indietro: «Io sono arrabbiata. Il genere, come è concepito oggi, è una grave ingiustizia. Dovremmo essere tutti arrabbiati: la rabbia genera cambiamenti positivi, ma io, insieme a essa, provo anche speranza perché credo profondamente nell’abilità degli esseri umani di costruire e riformare se stessi migliorandosi». Tale è stato l’impatto di quel discorso che è diventato l’ispirazione per la canzone Flawless di Beyonce.
È una donna colta, Chimamanda, predilige l’approfondimento sulla semplificazione, e uno sguardo aperto al mondo: quando le ho chiesto di scegliere uno scrittore prediletto per i reading di Writers on Writers ha optato per Turgenev, celebrando le proprie affinità con un autore così distante dalla sua tradizione. A Capri, dove fu ospite delle Conversazioni discusse sul tema del genere con E.L. Doctorow, fondamentale nella sua esperienza artistica ed esistenziale quanto quello razziale. Lo scrittore americano era d’accordo con lei, ma ne seguiva incantato il modo di ragionare, che mescolava esempi concreti, spesso dolorosi, con riflessioni filosofiche: ha il carisma del leader rivoluzionario, Chimamanda, e la lucidità di chi conosce le trappole e il potere del linguaggio. Ma ha anche un lato inaspettatamente lieve, e parte del suo fascino è dovuto alla mescolanza di questi due elementi, supportati da un’intelligenza acuta e profonda. Era l’anno dei mondiali di calcio in Sudafrica, e ci chiese di seguire in tv le partite del Ghana, che lei tifava per appartenenza continentale: la squadra della sua Nigeria non aveva fatto molta strada. Vedemmo tutti insieme Ghana-Stati Uniti, che terminò con la vittoria della squadra africana, con disappunto di Doctorow e l’entusiasmo di Chimamanda. Mi resi conto in quell’occasione che questo elemento giocoso è una declinazione, oltre che il contraltare, della passione per le questioni che le stanno a cuore: più che una valvola di disimpegno è la consapevolezza che il momento ludico è fondamentale nell’esistenza, da vivere senza alcuna forma di intellettualismo. «Non sono affatto preoccupata di intimidire gli uomini. Il tipo di uomo che è intimidito da me è esattamente il tipo di uomo per cui non ho alcun interesse». Ha la battuta pronta, veloce e pungente: quando uno studente ha dichiarato che si vergognava per i nigeriani che commettevano abusi sessuali come il padre raffigurato in un suo romanzo, ha replicato «recentemente ho letto American Psycho, e provo vergogna per il fatto che i giovani americani siano serial killer».
Le radici
È la quinta di sei figli di James, docente di statistica e Grace, la prima donna manager universitaria in Nigeria. La famiglia andò in rovina durante la guerra civile in cui morirono sia i nonni paterni che materni. È cattolica, ma in polemica con la Chiesa su temi quali l’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ha studiato medicina in Nigeria prima di trasferirsi negli Stati Uniti, dove ha cambiato diverse università finendo per laurearsi summa cum laude in scienze politiche. Lo shock culturale vissuto all’arrivo nel nuovo mondo, specie in relazione al modo in cui era considerato il colore della pelle, divenne il punto focale di Americanah, che l’ha trasformata in una stella della letteratura dopo L’Ibisco viola e Metà di un sole giallo. «Cara persona di colore non americana - scrive in quel magnifico libro - quando fai la scelta di venire in America, diventi nero. Smetti di litigare. Smetti di dire sono giamaicano o del Ghana. All’America non interessa». La determinazione non le viene meno quando prende posizione su temi scottanti quali la cancel culture, riguardo a cui si è espressa del tutto negativamente: «Non ti consente di imparare e crescere. Anche il perdono è fuori discussione. Penso che sia completamente carente di compassione». Nonostante il suo sguardo sia proteso verso il mondo, si sente orgogliosamente ancorata alle proprie radici. Agli inizi della carriera si è cimentata nella poesia e nel teatro con Per amore del Biafra: a quello stato, esistito soltanto per tre anni, è dedicato anche il secondo romanzo, che prende il titolo dal sole immortalato nella bandiera. Il contrasto tra culture diverse è un tema ricorrente nelle discussioni e nei suoi scritti. In un’altra Ted Conference, intitolata Il pericolo di una sola storia, metteva in guardia sulla mancata rappresentazione delle diverse realtà culturali: «Quando studiavo in America, la mia compagna di stanza era stupita che parlassi l’inglese e non ascoltassi musica tribale: per lei esisteva soltanto una storia dell’Africa, una storia di catastrofi. In questa unica storia non c’era possibilità che gli africani fossero simili a lei, non esistevano sentimenti più complessi della pietà e non c’era possibilità di un rapporto paritario». Lo ribadì a Capri: «La singola storia crea degli stereotipi, e il problema con gli stereotipi è che non sono falsi, ma incompleti. Fanno diventare una storia l’unica storia». La sera prima di partire mi disse che «ognuno pensa di viaggiare per cercare, ma poi torni a casa ed è lì che trovi te stesso. La diversità è la realtà del mondo, ed è questa l’unica forma necessaria di umiltà: realizzare che la diversità è normale».