Specchio, 4 aprile 2021
Ornella Vanoni si racconta
Con il mio solito tempismo, ho deciso di diventare un’intervistatrice quando non è quasi più possibile incontrare dal vivo le persone da intervistare. E la prima domanda che mi viene da fare a Ornella Vanoni, guardandola nel riquadro del computer da cui mi parla come una studentessa in Dad, dà voce a un pensiero sempre più ricorrente: Ornella, torneremo ad abbracciarci?
«Si, certo. Ma dobbiamo metterci l’anima in pace, ci vorrà un po’. L’abbraccio, quello vero, quello che stringi forte e sciogli tutti i nodi, fa bene. Tempo fa ero in un bar di Milano, a Largo Treves, e c’era questa ragazza di spalle, al bancone. Si vedeva che stava male. L’ho presa tra le braccia, da dietro, e lei è scoppiata in lacrime. L’ho tenuta stretta per un po’, poi è stata meglio. Non c’era ancora il Covid, naturalmente».
Sono giornate difficili, come hai fatto a riempirle di musica?
«Il mio nuovo album Unica è stata una combinazione felice: la casa di produzione, la BMG, Mauro Pagani e tutti gli artisti che hanno collaborato. È un disco moderno, ma appartiene anche al passato. Penso che brani come Un sorriso dentro al pianto siano canzoni che rimangono».
La mia preferita è Nuda sull’erba.
«L’ho scritta assieme a Fabio Ilacqua, che ha firmato cinque brani e l’arrangiamento di tutto l’album. È nata con una confessione. Gli ho detto: "sai che a me piace fare la pipì sull’erba? Sì, proprio sull’erba. Lasciare che venga assorbita dalla terra. E sulla terra mi piace anche sdraiarmi". Ed ecco che è venuta fuori Nuda sull’erba».
Fabio Ilacqua è anche l’autore del testo di "Occidentalis Karma".
«Un ragazzo straordinario. Pensa che non ha il telefonino, ma il telefono a muro. Dice che quello che lo fa vivere bene è andare a zappare tutte le mattine la terra con il papà. In pratica l’uomo ideale. Pieno di fantasia, colto, perché legge di tutto, scrive musica, canzoni, dipinge da Dio e pianta la natura. Il massimo».
L’hai mai trovato un uomo così?
«No. Un uomo che zappa la terra poi, mi piace molto. È una cosa sana. Chi può vivere in campagna, in questo momento, è benedetto».
Nella canzone "Specialmente quando ridi" parli di Milano. Ci vivi bene, a Milano?
«L’amavo molto. Adesso un po’ meno. Tutti questi grattacieli… troppi. Ha perso la sua connotazione. Poi sai, prima c’erano Iannacci, Fo, Gaber, Pozzetto, Strelher. Ci siamo molto divertiti. Adesso è cambiato tutto. È stato anche molto violento e rapido il cambiamento del mondo in generale, con i social e le nuove tecnologie. Io sono negata. Senza Veronica, che è la mia assistente, non so più neanche aprirmi una bottiglia, sono troppo viziata!»
In tutta la tua vita, chi pensi si sia preso più cura di te?
«I miei genitori. Durante la guerra, e anche dopo, quando mi sono ammalata di tisi. Ho girato per medici e ospedali, ho visto la vera sofferenza: durante un ricovero ho incontrato volti completamente bruciati da ricostruire. Ricordo un bambino che si era ustionato le manine con l’acqua bollente, non le aveva praticamente più. Forse è per questo che non mi impressiona più nulla. Se capisci la sofferenza, e la conosci, allora la paura sparisce. C’è gente che ha avuto troppe disgrazie per avere ancora paura».
Tu hai avuto il Covid. Non ti fa più paura nemmeno quello?
«In realtà sono preoccupata per le varianti. L’ho preso a novembre, ho pubblicato una foto in cui si vedevano solo i capelli e ho rassicurato le persone dicendo: sto bene. Invece ho sofferto come una bestia: dolori lancinanti».
Però non sei finita all’ospedale.
«No, perché mi ha preso all’intestino, il mio punto debole. La cosa peggiore è stata il dopo Covid. Mi è venuto un blocco intestinale, mi si sono gonfiati i linfonodi sotto la gola, come quando ero ragazzina durante la guerra, solo che lì non c’era niente da prendere per non soffrire, per cui soffrivo veramente molto. Si può dire che ho imparato a soffrire».
I tuoi ricordi della guerra?
«Altro che coprifuoco. Però, quando sei ragazzina, il senso della morte è molto vago. Stavamo tutti molto insieme, dentro casa a cucinare quello che c’era. Ho il ricordo di mia mamma isterica che cerca di fare gli spaghetti con la macchina. Se di giorno non c’era l’allarme, andavamo a trovare i cugini a Varese. Io mi sono anche divertita. Poi dopo, quando è finita, Milano era effervescente, c’era la gioia di essere vivi».
Anche tu eri effervescente?
«Mi hanno mandato in un collegio in Svizzera. Lì perdevo anche la cartella per quanto mi stufavo. Allora il preside chiama i miei genitori e dice: "Pensavo fosse intelligentissima, vostra figlia, invece non lo è". I miei genitori mi spediscono in un altro collegio in Francia, per due anni. E lì mi sono divertita».
Il tuo primo amore?
«A diciotto anni mi sono fidanzata con un ragazzo carino, un po’ noioso, del resto faceva le lancette degli orologi. Sono rimasta incinta. Lui non lo voleva. Mi ha fatto fare un aborto, legale, con uno psicologo che mise per iscritto che non ero in grado di avere un figlio. Ricordo di aver pensato che quando gli uomini si mettono insieme, sono nemici. Subito dopo sono caduta in depressione. Mi ricordo sola, con le luci spente, perché tanto se la luce era accesa, era buio lo stesso. Una malattia terribile, che ho ereditato da mio padre».
Che rapporto avevi con lui?
«Ero pazza di mio padre. Lo vedevo fragile. Un uomo timidissimo. Gli telefonavo sempre, due volte al giorno. Anche quando ero in America, ci sentivamo continuamente. Mia madre mi sembrava più forte. Quando lui è morto, io non l’ho mai chiamata cosi spesso. Papà mi faceva tenerezza. Quando era depresso, non sapeva nemmeno che cosa avesse. All’epoca non c’era niente da fare. Io volevo aiutarlo, ma non potevo. Poi la depressione l’ho presa io, e l’ho capito».
Tu ti sei curata però.
«Odio quelli che non si curano. Se prendi gli psicofarmaci, stai meglio, e fai stare meglio le persone intorno a te. Perché stare vicino a un depresso è peggio che stare dietro a un malato di cancro, credimi. Io ho trovato un bravo psichiatra e da allora non ho più avuto la depressione. Posso avere dei giorni di tristezza tremendi, ma poi piango e mi passa. Fa bene piangere, libera. Io, dopo le mie dieci ore di pianto, sto meglio».
Nella canzone "Tu, me" che canti con Virginia Raffaele a un certo punto dici: "Se sciuperai l’amore un giorno, sarai sola, amica mia". Tu ti senti sola?
«Non sono affatto sola. Non ho un compagno, ma ho un rapporto bellissimo con mio figlio, i miei nipoti, il mio cane, la mia assistente. Anche in questo momento storico difficile non si è mai davvero soli. Pure se il mondo è troppo elettronico, e secondo me si sta esagerando, almeno abbiamo la fortuna di guardarci in faccia, comunicare. Insomma se uno è proprio solo solo, o è in cima al Pizzo Palù, oppure è colpa sua».
Hai qualche rimpianto?
«Mi rammarico di non aver allattato mio figlio. I medici me lo avevano sconsigliato, perché dicevano che avevo avuto la tisi e che allattarlo mi avrebbe fatto perdere il calcio. Ma secondo me era una cavolata. I bambini allattati al seno della mamma sono diversi. Immagina cosa vuol dire per un bimbo stare sul seno della mamma, sentire l’odore della sua pelle… Dovevo trasgredire ai medici».
Nessun altro rimpianto?
«Non ho saputo costruire. C’era una persona con la quale potevo costruire, ma poi non è stato possibile… A un certo punto gli uomini mi sono sempre venuti a noia. Forse anche perché di me non hanno mai capito molto. Un artista un po’ diverso lo è. Perché usa le sue emozioni, quando la gente normale le tiene tutte dentro, le nasconde. Poi sono ironica, e allora anche lì casco male».
L’imbarazzo dentro al vanto che cos’è?
«È’ l’insicurezza, quella che ho avuto per anni. Mi davano della stronza, della snob, in realtà ero terrorizzata. Avevo un fisico, una faccia, che se dicevo che ero timida, non ci credeva nessuno. Come Gassman, anche lui era timidissimo, ma gli avresti mai creduto a uno con quella faccia, con quel fisico?»
Nel disco duetti con due artiste donne: Virginia Raffaele, che è stata anche la tua imitatrice, e Carmen Consoli. Nella vostra canzone, "Carezza d’autunno", c’è un passaggio dove dici: disarmata in una stanza al buio, disorientata in balia di te. Come sono le donne oggi, rispetto agli uomini?
«Quel te del testo non è mica per forza un uomo. Può essere anche un figlio, la depressione, o il Covid. Io ho delle amiche donne straordinarie, ma è anche vero che non vedo in giro tutta questa grande amicizia tra donne. Gli uomini hanno lo sport che li unisce. La Yourcenar scriveva "invidio mio padre" per questo motivo. Noi non abbiamo in comune una passione che ci unisce, se non quella, in questo momento, di cercare di salvare le donne in generale».
Hai mai avuto qualche amica invidiosa?
«Sì, una. Abbiamo lavorato per anni molto bene insieme, poi a un certo punto il rapporto si è guastato. Ha cercato anche di distruggermi la vita con delle lettere anonime, le mandava a me, alla mia famiglia, a mio figlio, al mio compagno. Era invidiosa, gelosa, non so. Quando dicevo che era lei, non mi credeva nessuno. La mia migliore amica di allora, che adesso non lo è più, mi ha detto: "Io non ti credo". E io volevo morire. Così sono andata da Maurizio Costanzo, gli ho portato le lettere, e lui mi ha consigliato di denunciarla. Da allora non sono più arrivate. Ma io sapevo che era lei».
Per concludere con l’album, Renato Zero, che ha collaborato alla realizzazione, ha fatto notare che probabilmente sei l’unica cantante al mondo che alla tua età realizza un disco di canzoni nuove. È così?
«Penso che farò anche un altro disco live. E poi, se sono ancora in piedi, sana, e con il cervello che ho, vorrei fare dei reading a teatro. Perché no? Ma non è che canterò fino a novantotto anni, eh? Non avrebbe senso».
Invece sì, Ornella. E se adesso non ci fosse il Covid, e il computer, a dividerci, mi alzerei in piedi e ti abbraccerei.