Specchio, 4 aprile 2021
Il caso della morte di Melissa Bassi
Quella mattina del 19 maggio 2012, davanti all’istituto Morvillo Falcone di Brindisi, alle 7.40 Melissa sorridente con le compagne Selena e Azzurra, era appena scesa dell’autobus di Mesagne, prima di infilarsi in classe: «Per strada eravamo noi tre, amiche da sempre – ricorda oggi Azzurra – parlavamo dei progetti estivi, del desiderio di correre tutte al mare in spiaggia… Notai quel cassonetto dell’immondizia, non lo avevo mai visto ed era inconsueto che fosse sul marciapiedi ai margini della strada. Pensai che forse era iniziata la raccolta differenziata e andai avanti... Poi all’improvviso l’esplosione delle tre bombole messe all’interno, il boato, il fumo, le urla strazianti. Oggi mi rimangono pochissimi immagini nella mente: mi vedo distesa per terra, una scarpa davanti a me, dei pezzi di bombole intorno. E il mio corpo coperto di fiamme: "È un sogno, un incubo, questo?", chiedo attonita a un signore che cerca di salvare il mio corpo che brucia. "No, no!", ripete lui ma io quasi non lo sento, sverrò per poi risvegliarmi in ospedale».
Azzurra Camarda e Selena Greco ce l’hanno fatta, si sono salvate, Melissa Bassi invece, con ferite e ustioni sul 90% del corpo è morta lì, unica vittima di un folle attentatore che puntava a una strage di adolescenti innocenti. Ma il futuro si intreccia con il passato e così queste due ex studentesse diventate nel frattempo donne, hanno voluto ricordare l’amica del cuore per sempre, ogni giorno. Entrambe hanno deciso di chiamare la propria figlia con il nome della compagna che hanno perso davanti agli occhi. C’era la studentessa Melissa Bassi e oggi c’è Melissa figlia dell’amica Azzurra che sgambetta a quasi due anni, e c’è Regina Melissa, figlia di Selena, nata in piena pandemia, lo scorso 3 settembre. «Non ho voluto sostituire Melissa con mia figlia – spiega con tatto Azzurra - ma la mia amica adorava i bambini, voleva lavorare con loro. Scegliere questo nome è un atto d’amore e memoria».
Il ricordo è infatti indelebile per tutti, anche per soccorritori e investigatori. Proprio quel giorno, alle porte di Brindisi, pochi minuti prima che la bomba esploda, il colonnello Paolo Vicenzoni del Ros stava riordinando le carte in caserma di un fascicolo su un omicidio della Sacra corona unita. Arrivato da Roma, il comandante del reparto crimini violenti era da qualche giorno in città, quando iniziò uno dei peggiori giorni della sua vita, senza che lui nemmeno lo immaginasse: «Ero impegnato in un’altra attività di indagine – ricorda - con squadre del Ros al mio comando, quando ci avvisarono dell’attentato. Fummo tra i primi a intervenire e ci trovammo di fronte a uno scenario di guerra». A terra undici corpi martoriati di giovani studentesse, zaini, carte che volavano, libri e quaderni, l’odore insopportabile di quando le fiamme bruciano corpi. E poi, le sirene, la paura. Chi gridava dal dolore, chi dal terrore con la notizia che rimbalza anche fuori Italia. Si teme un attentato terroristico, si ipotizza una matrice mafiosa-eversiva, anche se le modalità e l’obiettivo non convincono. «Sin da subito fu costituito un gruppo investigativo interforze fra carabinieri e polizia – prsegue l’ufficiale del Ros -, con i migliori investigatori che potevamo mettere in campo. E per fortuna i risultati sono stati subito evidenti: in appena 18 giorni di indagine abbiamo sottoposto a fermo l’autore, Giovanni Vantaggiato, che ha subito confessato». Quando è arrivata la svolta? «In una domenica di fine maggio, la squadra mista di polizia e carabinieri, che curava l’analisi delle centinaia di registrazioni video acquisite, riuscì a estrapolare un frame fondamentale per l’identificazione del sospettato. Lo pedinammo per alcuni giorni e lo identificammo anche in base all’impressionante somiglianza con l’ormai tristemente famosa immagine in cui si vedeva l’attentatore azionare il telecomando. Infatti, aveva un’andatura inconfondibile che unita ad altre acquisizioni investigative incrementavano gli indizi su di lui». E, in effetti, nell’ordinanza cautelare si legge proprio come siano state le telecamere a inchiodare l’attentatore. Soprattutto una, come per una spietata legge del contrappasso, ovvero quella posizionata sul chioschetto dove le studentesse compravano la merenda: «L’analisi di quei filmati permetteva di individuare distintamente una persona, dell’apparente età di 50-55 anni, corporatura media, con capelli grigi ed incipiente calvizie. L’uomo vestiva una giacca di colore scuro e pantaloni chiari e calzava un paio di scarpe di colore scuro con riporti chiari. Lo stesso indossava un paio di occhiali da vista, mantenendo la mano destra in tasca, azionava con l’altra mano un telecomando dirigendolo verso l’area successivamente interessata dall’esplosione». Vantaggiato viene rintracciato tramite l’auto che aveva parcheggiato vicino alla scuola, una Fiat Punto bianca con il faro anabbagliante anteriore sinistro non funzionante. E quando mercoledì 6 giugno del 2012 la polizia va da lui in ufficio per un apparente controllo di routine, Vantaggiato si preoccupa. Va nel panico, alle 11.54 chiama «in forma concitata e allarmata» la moglie a casa e le dice di andar via subito, di sparire con l’utilitaria. Un doppio errore fatale. Non sa che la consorte non può assecondarlo perché ha gli agenti in casa e, soprattutto, non sa che le sue parole finiscono intercettate. È il tassello mancante, passano poco più di dodici ore e l’indomani, giovedì 7 giugno 2012 alle 00.30, viene arrestato. È lui l’assassino, condannato il 6 novembre 2014 all’ergastolo.
Ma chi è Vantaggiato e perché ha voluto uccidere? Classe 1944, nato a Copertino, in provincia di Lecce, è titolare di un deposito carburanti proprio nel paese dov’è nato. Fin da ragazzo, coltiva una passione per elettrotecnica e ordigni, cresciuta poi quando, emigrato in Germania, si faceva mandare dall’Italia le dispense di un corso per corrispondenza di elettrotecnica con tanto di quiz e attestato finali. La sua vita scorre tranquilla fino a quando subisce una truffa proprio sugli olii minerali da oltre 300 mila euro, che lo costringe a chiedere prestiti sempre più gravosi. Per vendicarsi, fa esplodere la bici di uno dei presunti autori, con un ordigno rudimentale azionato tramite telecomando. L’uomo salta in aria, senza perdere la vita. La rabbia cieca non si placa, anche perché Vantaggiato ritiene che il tribunale non abbia fatto completamente giustizia, non avendo perseguito tutti gli autori. E così il palazzo di Giustizia diventa il nuovo obiettivo per un’azione eclatante. «Egli ha detto di aver iniziato a programmare il delitto – si legge negli atti d’indagine - fin da prima di Natale e di aver comprato quattro telecomandi, di cui tre si erano inceppati durante le numerose prove. Ha riferito di aver composto il materiale esplodente utilizzando "potassa" e "acido nitrico" e di avere più volte testato la miscela nelle campagne vicino Leverano prima di utilizzarla nell’attentato. Ha ammesso di essersi recato a Brindisi prima dell’attentato per effettuare dei sopralluoghi e di avere scelto la scuola più vicina all’uscita dalla città perché, rispetto ad altri obiettivi, come ad esempio una caserma dei Carabinieri, era più facile da colpire. Ha ripetuto più volte di non avere avuto intenzione di azionare il telecomando in ore notturne perché voleva ottenere esattamente l’effetto ottenuto: di notte era un tempo ideale soltanto per fare i preparativi senza essere notati. Questo dimostra che la volontà era esattamente e direttamente quella di fare un gesto dimostrativo eclatante, finalizzato ad uccidere. Ha perfino riferito di essere ritornato a casa alle tre di notte per dormire, e poi di essere uscito nuovamente all’alba, dopo aver già posizionato l’ordigno, dimostrando di avere una ferma volontà di consumare il delitto proprio in quel momento e non ad un’ora qualsiasi».
Un racconto raggelante che ha lasciato impietrite le vittime. Già, come hanno reagito? «Non penso niente di lui – taglia corto Azzurra Camarda – sono andata a tutte le udienze e in aula un giorno mi sono avvicinata a lui fin dove possibile. Volevo guardarlo negli occhi. Volevo capire come si può decidere di fare del male a dei bambini. Perché noi all’epoca eravamo piccole, delle bambine appunto. E lui ha raccontato che ha schiacciato il telecomando della bomba che non è brillata. E quindi non ha avuto un tentennamento, un’ultima indecisione. No, ha aspettato che noi passassimo lì vicino per premere ancora il pulsante». Lui però si è difeso dicendo che voleva protestare contro una sentenza ingiusta del vicino tribunale. «Non è vero niente – sbotta ancora la mamma di Melissa – avesse voluto provocare dei danni, avrebbe atteso la notte quando l’esplosione non avrebbe mietuto vittime. Melissa non sarebbe morta. E con lei una parte di noi tutte». Già, Melissa è morta: «Ogni volta che oggi chiamo mia figlia, penso alla mia amica. A quanto fosse solare, divertente, ottimista nel cercare sempre il bene in ogni persona. Non si faceva mai scoraggiare». Si ferma qualche per qualche attimo di riflessione e aggiunge con il tono di due note più basso: «Non ho mai conosciuto una persona più buona di lei. Non esiste». Poi chiama la figlia Melissa per l’omogeneizzato.