Corriere della Sera, 4 aprile 2021
La vita di Dino Valdi, controfigura di Totò
Napoli, Rione sanità, 17 aprile 1967. Si celebra il funerale di Antonio de Curtis – morto due giorni prima a Roma, il secondo dopo quello nella capitale – curato dall’amico Nino Taranto che dirà: «Il tuo pubblico è qui. Ha voluto che il suo Totò facesse qui l’ultimo esaurito della sua carriera». La città si è fermata: il furgone funebre ci mette oltre due ore a raggiungere la chiesa, la questura parla di centoventimila persone, c’è chi giura siano il doppio. Piazza Mercato è gremita, anche Franca Faldini la compagna dell’attore e la figlia Liliana fanno fatica a seguire la bara. A un certo punto una donna lancia un grido, indicando una persona dietro il feretro: Totò è vivo, non è morto, è resuscitato. Emozionata, sviene. È l’inizio dello spettacolo L’ombra di Totò, in scena il prossimo 10 luglio nel parco della Reggia di Capodimonte nell’ambito della rassegna Campania Teatro festival, regia di Stefano Reali, scritto da Emilia Costantini.
«L’episodio, seppur molto cinematografico, è vero: quell’uomo è Dino Valdi, per anni controfigura, alter ego e molto di più di Totò», racconta Yari Gugliucci che lo interpreta. «È lui, finalmente, al centro della scena. Nella finzione drammaturgica è una giovane giornalista che lo nota e lo segue fino a casa per fargli un’intervista. Hanno un obiettivo comune: per lei la realizzazione di uno scoop; per lui, finalmente, l’occasione di uscire dal cono d’ombra». Che era stato non solo il destino, ma il suo mestiere.
Straordinaria e misconosciuta la vita di Dino Valdi, parallela, da un certo punto in poi, a quella del Principe. All’anagrafe Osvaldo Natale, napoletano come Totò, di 24 anni più giovane (era nato il 1 giugno 1922), incrocia la sua strada all’epoca di Due orfanelli di Mario Mattioli. È il 1947. «Quindi è al suo fianco in Bellezze in bicicletta. Inizialmente il suo ruolo – continua Gugliucci – era simile a quello di uno stuntman: gli faceva da controfigura nelle scene in bici come in Totò al Giro d’Italia. Poi, a partire dal 1957 quando il grande attore perde la vista e si dedica prevalentemente al cinema, Dino diventa insostituibile: recita al suo posto, gli fa da coach. Fino a Uccellacci uccellini di Pasolini: Totò i primi piani, Dino tutto il resto».
Un legame fortissimo. Ma non fu tutto rose e fiori. «Già all’epoca di Guardie e ladri ebbero un primo screzio. Valdi, malgrado il rapporto di stima e affetto che li legava, si sentiva di meritare di più». Per un periodo le strade si separarono. «Dino prova a mettersi in proprio, si fa una compagnia, tenta anche con il cinema. Ma Totò ne sente la mancanza: lo va a trovare in teatro, fanno pace e lui torna al suo servizio».
Più di una controfigura. «Un servitore ma anche amico e confessore. Il testo dello spettacolo lo racconta bene. Nell’intimo di Valdi, accanto all’ammirazione c’è una vena di rimpianto». Dopo la morte di Antonio de Curtis prova a ripartire. «Alcuni spettacoli e un po’ di cinema, compresi i poliziotteschi». Titoli come Milano.. difendersi o morire, o commedie erotiche come Sorbole.. che romagnola di Alfredo Rizzo. O, ancora, I corpi presentano tracce di violenza carnale di Sergio Martino.
Muore dimenticato, nel 2003. «Non c’è quasi traccia di lui, sembra quasi personaggio immaginario. Anche della vita privata si sa poco. Un uomo solo, quasi misantropo. Non per scelta ma per destino, quello di aver dato un contributo così grande al percorso di un grande attore e essere dimenticato, come peraltro succede anche ai grandi. Una storia alla Salieri e Mozart. Era uno di famiglia: quando muore Totò la sua compagna, Franca Faldini, gli regala tight e bombetta, in segno di stima. Ma ogni attore è un narciso, immagino avrà patito la frustrazione di aver fatto brillare una carriera ma non la sua. Se fosse capitato a me, cosa avrei fatto?», si domanda Yari.
Salernitano, 46 anni, racconta il suo Totò. «Parlavo come lui da piccolo, ho visto tutti suoi film, è il nostro Chaplin, per me una specie di amico immaginario con cui parlavo. E poi c’è una certa somiglianza, la mascella storta». Lo interpretò in uno spettacolo al festival di Edimburgo, Un principe in frac. «Recitato in napoletano e in inglese. Lì ho conosciuto la nipote, Elena de Curtis. Apprezzò idea di aver messo in risalto il lato umano e malinconico, tipico dei comici». Il lato più fragile. Che Totò rivelò nella celebre intervista a Oriana Fallaci, confessando la sua ossessione: l’oblio. «Un falegname vale più di noi artisti: almeno fabbrica un tavolino che rimane nei secoli. Ma noi, dica, che facciamo? Quanto duriamo? Al massimo, se abbiamo molto successo, una generazione!». A quasi mezzo secolo dalla morte il suo ricordo resta vivo. È la sua ombra che è sparita.