la Repubblica, 4 aprile 2021
Il tour di Raiola per offrire Haaland
Non più lo spettro del comunismo, per l’Europa s’aggirano un virus e Mino Raiola. Letali entrambi, l’ultimo nella variante Haaland. “Contagiato” il padre del calciatore norvegese, lo trascina da Barcellona a Madrid, da Manchester a Londra. Non ci sono zone rosse per loro, né quarantene allo sbarco. Non esibiscono passaporti vaccinali, ma lo status symbol del momento: il potere di spostarsi liberamente. In viaggio con papà, Raiola ha messo in scena il suo spettacolo più riuscito e frainteso. Il Guardian l’ha paragonato al Grand Tour di signorini ottocenteschi dotati di bastanti denari o talenti, ma Amadeus Mozart in ogni tappa c’era e suonava, tirandosi dietro il padre/agente. In un’asta si mostra la creazione, non chi l’ha creata: il teschio di diamanti, non Damien Hirst (per questo si può aggiudicare un’opera dell’invisibile Bansky). Si dirà: chiunque si occupi di calcio conosce Haaland. Appunto. Perché allora non limitarsi allo “smart offering”, proponendo a distanza, anche con il burofax, volendo? Perché questo bisogno di visibilità e contatto così fuori da questo tempo? L’ultimo equivoco è nel titolo del quotidiano spagnolo Sport: “Haaland show”. Lui non c’è, ma anche suo padre è un accessorio.
All’aeroporto di Barcellona Mino lo chiude in bagno non per nasconderlo ai giornalisti (sa benissimo che lo vedranno), ma per chiarire i ruoli nel cast, chi è protagonista e chi non. Questo è un “Raiola Show”. Ha tutti gli ingredienti del suo successo da sensale contemporaneo. È smaterializzato e insieme tattile. Ubiquo e centralizzato. Ai “si dice” sostituisce la forza dei “si vede”. Raiola si presenta, ti guarda negli occhi, non esiste un’offerta che non possa rifiutare. L’abbigliamento trasandato dimostra assenza di soggezione, allude scaltramente al popolare: dribbla con l’assenso dei legislatori il dress code e qualunque regola in vigore prima e dopo il suo passaggio. È una pignoleria il fatto che Haaland ancora giochi con il Borussia Dortmund, martedì in Champions contro il Manchester City a cui è stato offerto. Questo varietà è la prova che calcio e mercato si sovrappongono: le partite sono quel che accade fra una trattativa e l’altra; giocatori e allenatori sono star sì, ma stelle morte per chi le osserva, mandano luce lì pur trovandosi già aldilà. In fondo lo stesso accade in politica: c’è chi governa insieme, ma pensa solo a quando, fra un anno, sarà altrove. La guida del Paese è ciò a cui ci si dedica tra una campagna elettorale e l’altra, ma se la campagna è permanente, che cosa resta? E se Raiola si facesse un partito, chi lo fermerebbe?