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 2021  aprile 04 Domenica calendario

La selezione darwiniana? Dovrei già essere morto

In qualunque popolazione di organismi viventi la selezione darwiniana fa aumentare la frequenza di geni che sono favorevoli a quegli organismi in un certo ambiente. Da un punto di vista umano, dobbiamo ammettere che è un meccanismo spietato: sotto la pressione di un fattore ambientale aumenta la proporzione delle persone che hanno un certo gene, perché muoiono quelle che non hanno quel gene. Per di più, l’arricchimento nella popolazione dei soggetti con il gene favorevole ha luogo solo se la morte degli altri avviene quando sono bambini, prima che possano procreare. Non è un caso che nella specie umana l’evidenza più conclamata per la selezione darwiniana riguarda geni che conferiscono resistenza alla malaria, malattia ancor oggi endemica in metà del mondo: la maggior parte di quelli che muoiono di malaria sono bambini. 
L’intuizione geniale di Darwin (alla metà dell’Ottocento) è stata che le variazioni dei caratteri che si trovano in tutte le specie potessero essere soggette a selezione: ed ancor oggi alcuni dicono, con un certo grado di approssimazione ma impropriamente, che la selezione è il motore dell’evoluzione biologica. Il vero motore dell’evoluzione sono invece le mutazioni – piccolissime imprecisioni nella replicazione del DNA – che avvengono casualmente ma continuamente: e questo Darwin non poteva saperlo (anche se probabilmente immaginava qualche cosa del genere). Sono le mutazioni che generano quelle variazioni, cioè il materiale selezionabile. 
Nel cupo disastro della pandemia Covid-19 ognuno cerca almeno qualche barlume incoraggiante: a me sembra positivo che il pubblico sappia ormai che SARS-CoV-2 è un virus il cui genoma è fatto di RNA (anziché DNA), che tramite i suoi spikes entra nelle cellule epiteliali del nostro tratto respiratorio, e poi costringe ognuna di queste a sintetizzare le proteine che servono per riprodurre un centinaio di copie del virus. L’educazione scientifica del pubblico non si ferma qui: anche chi non aveva mai studiato l’evoluzione biologica sa ora che ci sono varianti del virus, e che possono avere proprietà diverse importanti. 
In effetti la pandemia è una palestra del darwinismo. Da quando ha infettato la specie umana, il virus SARS-CoV-2 è andato incontro a miriadi di mutazioni. Molte di queste sono state a suo scapito: ma il numero dei virus così inattivati è trascurabile in confronto a qualche milione di particelle virali prodotte da ogni persona infetta, e perciò il contagio continua. Molte mutazioni sono neutre, o indifferenti dal punto di vista del contagio: sono risultate utili per tracciare le migrazioni geografiche del virus (ad esempio i virus giunti dalla Cina e diffusi in California sono diversi da quelli giunti sempre dalla Cina e poi diffusi in Europa). Infine, di rado, capita qualche mutazione vantaggiosa per il virus, nel senso che la probabilità per una singola particella virale di infettare una cellula è aumentata, oppure la cellula infettata produce più particelle virali, oppure il RNA è più stabile: in tutti i casi la contagiosità risulterà più alta, ed è così che le mutazioni che sottendono alle varianti inglese, brasiliana, sud-africana sono divenute famose. Qui tocchiamo con mano che il motore dell’evoluzione sono le mutazioni: quando una mutazione è vantaggiosa darà più progenie virale, così che la variante viene selezionata e potrà addirittura soppiantare il ceppo da cui ha avuto origine. Le mutazioni selezionate sono solo la punta dell’iceberg: tutte le altre si identificano in laboratorio, ma non hanno rilevanza epidemiologica (o perlomeno per ora non la conosciamo). Sarebbe antropomorfico attribuire al virus mutante una intenzione malefica – come dire che «il virus è diventato più cattivo»: ma questo è il risultato della sua evoluzione darwiniana.
Ma che dire dell’ospite, che siamo noi? Le epidemie, ivi comprese le pandemie, sono spesso citate come potenziali agenti di selezione darwiniana nella specie umana: ma non è detto che lo siano, per due motivi. Il primo motivo è ovvio: nel caso di SARS-CoV-2, per esempio, il ciclo riproduttivo del virus è di poche ore, mentre una generazione umana è dell’ordine di 25 anni. Pertanto, se la pandemia dura meno di una generazione – speriamo molto meno! – non ci sarà il tempo perché le frequenze dei geni che potrebbero proteggerci siano sensibilmente modificate. Il secondo motivo ha a che fare con le caratteristiche della malattia pandemica. Come si è detto sopra, la selezione darwiniana è efficace quando agisce su soggetti in età pre-riproduttiva: ma con COVID-19 sono invece quelli che tale età hanno passato da un pezzo che tendono a morire (anche se mi trovo ad essere parte in causa, da darwiniano stavo per dire «per fortuna»). Siccome, per fortuna, i giovani sopravvivono quasi tutti, la selezione non può funzionare.
È chiaro da quanto sopra che la mortalità selettiva degli anziani causata da Covid-19 nulla ha a che fare con la selezione darwiniana. Occorre notare piuttosto che lungo i circa 250mila anni da quando esiste Homo sapiens, tale selezione ci ha plasmato in modo che, superati i primi anni di vita durante i quali siamo molto fragili, possiamo vivere piuttosto bene (sperando che non si mangi troppo e non si fumino sigarette) fino a, diciamo, 50-60 anni. Da lì in poi, se si è fortunati si continua ancora a lungo, in buona parte grazie alla medicina preventiva e curativa: una invenzione unica della nostra specie che, è bene ricordarlo, va deliberatamente contro la selezione darwiniana. Alcuni potenti, come un ex-presidente degli Stati Uniti, hanno calcolato che lasciar morire mezzo milione di anziani era un prezzo accettabile per limitare i danni all’economia. Ma nella maggior parte del mondo ci si è mobilitati nell’intento di salvare «i più vulnerabili»: leggi, i più vecchi e i più malati. Io trovo commovente che alla mia età, quando Darwin mi ha da tempo abbandonato, il Servizio Sanitario Nazionale non solo abbia investito risorse per iniettarmi un vaccino, ma mi abbia anche dato una precedenza: l’evoluzione culturale è andata molto al di là dell’evoluzione biologica.