Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2021
La stampa contribuÌ a «fare gli italiani»
Il pioniere fu Marino Berengo (1928-2000), maestro di studi storici e autore nel 1980 di un’innovativa monografia einaudiana, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione. Ricostruendo la straordinaria fioritura del mercato editoriale nella «nuova capitale culturale italiana», Berengo inaugurava una nuova disciplina. Dalla storia del libro (appannaggio di eruditi e bibliofili) si passava a una vera e propria storia dell’editoria, capace di restituire il complesso delle attività e dei personaggi impegnati nella realizzazione e diffusione dei libri: dai librai e tipografi (editori in pectore) ai «banchettisti», dai venditori di almanacchi ai letterati, giunti da ogni angolo del Paese per concorrere a quest’opera di sottaciuta resistenza all’amministrazione asburgica.
Tra i frutti più maturi originati dal seminale studio di Berengo possiamo annoverare la biografia di Arnoldo Mondadori firmata da Enrico Decleva (1993); l’ampio profilo della casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta di Luisa Mangoni (1999); la biografia intellettuale di Valentino Bompiani tracciata da Irene Piazzoni (2007); l’affascinante ricognizione di Tommaso Munari sui rapporti fra l’Einaudi e gli altri grandi editori europei nel secondo dopoguerra (2016): tutti tomi fondati su certosini scavi d’archivio.
Il nuovo parto della stessa Piazzoni (docente di Storia contemporanea alla «Statale» di Milano) è invece un lavoro di sintesi, basato in larga misura su ricerche preesistenti, che testimoniano il rapido sviluppo di questo campo di studi. Cruciale, in un libro di tal genere, è la periodizzazione. Se per Berengo l’editoria industriale moderna è sorta negli anni Quaranta dell’Ottocento, quando la figura dell’editore si affrancò da quella del libraio e del tipografo e il diritto d’autore cominciò ad essere oggetto di animati dibattiti, Piazzoni ha scelto di concentrarsi sul XX secolo.
Il Novecento dei libri, nella sua lettura, inizia con la fondazione a Bari nel 1901 della Laterza – presto orientata da Croce – e con l’avvio delle riviste fiorentine di Papini e Prezzolini, spina nel fianco del giolittismo. All’alba del secolo si apriva così una stagione in cui gli intellettuali, intesi «nella loro accezione moderna», svolgevano una funzione pubblica in grado di determinare anche gli orientamenti delle case editrici. Se però l’autrice avesse preso le mosse dal 1861, avrebbe potuto illustrare le origini di alcuni settori – le collane «universali», l’editoria per ragazzi, la letteratura di consumo, le traduzioni – da lei sviscerati con tanta passione e competenza. In fondo, l’editoria italiana nacque con l’unificazione del nostro Paese e contribuì a «fare gli italiani».
Insomma, piuttosto che di un Novecento dei libri (inteso come secolo organicamente compiuto), sarebbe forse più opportuno parlare dei «libri del Novecento». È questo infatti il tema del ricchissimo repertorio – il più completo sinora a disposizione – offerto da Piazzoni: cosa è stato pubblicato nel XX secolo e da chi. Se i primi due capitoli sono riservati, rispettivamente, all’età giolittiana e al ventennio fascista, gli altri quattro abbracciano il resto del secolo. È questa una novità rispetto alle precedenti sintesi storiche, che all’Italia repubblicana avevano riservato solo qualche pennellata finale.
L’autrice riesce a intrecciare felicemente i diversi piani del suo discorso. Non c’è soltanto l’editoria di cultura (Le Monnier, Sansoni, Laterza, Einaudi, Adelphi), ma anche quella commerciale (Treves, Sonzogno, Mondadori e Rizzoli), religiosa (Queriniana), tecnica (Hoepli), di nicchia (All’insegna del pesce d’oro), a dispense (Fratelli Fabbri) ecc. Tutti tasselli di un mercato che, seguendo la lectio di Berengo, occorre studiare nella sua interezza e compresenza di «alto» e di «basso». Fondamentale in questo senso fu, grazie al ventunenne Augusto Foà, la nascita nel 1898 dell’Ali, la prima agenzia letteraria italiana, poi sviluppata dal figlio Luciano e passata in gestione nel 1951 al leggendario Eric Linder: «Protagonista dietro le quinte della modernizzazione del mondo del libro», in un Paese abitato da «un popolo di poeti che non legge».
Dall’affresco di Piazzoni traspare un punto fermo, ossia l’infinita varietà dell’arcipelago editoriale. Se l’editoria è sempre figlia del proprio tempo, questo non significa che possa essere interamente ascrivibile alla cifra di un’epoca. Persino per quanto riguarda il regime littorio, «non si può parlare di editoria fascista, ma di editoria negli anni del fascismo». Nonostante la censura preventiva introdotta nel 1934, l’ideologia totalitaria non riuscì mai a permeare ogni tomo uscito dai torchi. Analogamente, il 25 aprile 1945 non rappresentò soltanto uno spartiacque. Se con la Liberazione la casa editrice di Giulio Einaudi spiccò il volo, diverse altre – fra cui Rizzoli, Longanesi e Garzanti – coltivarono un pubblico «afascista», se non nostalgico.
Talvolta, le imprese editoriali più originali sono proprio quelle nate sfidando lo Zeitgeist. Il caso più emblematico è rappresentato da Adelphi, presenza ingombrante di queste pagine. Specchio di «un mondo unitario, atemporale e astorico, che rifiuta qualsiasi sistemazioni dei saperi e che ruota esclusivamente intorno all’oggetto libro», la raffinata casa editrice fondata da Luciano Foà e ora governata da Roberto Calasso ha incarnato a lungo un modello antitetico a quello progressista einaudiano. Poi, con il «riflusso» degli anni Ottanta, è riuscita a interpretare al meglio la nuova epoca, conservando tuttavia, ancor oggi, un’allure artigianale. Nell’età delle grandi fusioni editoriali e dell’omologazione dei marchi, è un merito notevole.