Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2021
Le foreste pensano e ci parlano:
Nei boschi ci perdiamo, andiamo a camminare, ritrovare il respiro, il silenzio. Gli alberi si parlano attraverso le radici. Sopra, nel mondo umano c’è la Rete, sottoterra il wood wide web, il pensiero vegetale. Abbiamo usato le foreste per edificare le nostre civiltà, ci hanno protetto, fino a che l’umano ha abbattuto i giganti, violato il lucussacro agli dèi. In luglio verrà pubblicato il saggio dell’antropologo canadese Eduardo Kohn “Come pensano le foreste”. Apprezzato per i suoi studi etnografici tra i Runa dell’Amazzonia, Kohn parla della necessità di costruire una nuova mitologia che comprenda piante, animali, sciamanesimo, rocce. Uno storytelling altro in grado di raccontare la nostra epoca pandemica: «Mi interessa la foresta sotto due profili: in senso letterale, quella che si può camminare, e dove vi sono importanti elementi della mente e dello spirito (l’homo sacer di cui parla anche Giorgio Agamben, ndr), altrettanto fondabile sulla biologia».
Le foreste per Kohn, professore associato alla McGill University in Canada, si manifestano anche in direzionalità: «Le cellule arrivano a esistere per il bene dei sé che diventeranno: così la singolarità si combina con il generale», e diviene comportamento: «La qualità mitica della foresta è trovare le radici della domanda per sviluppare la risposta», così da immetterla in un quadro più ampio: «Cos’è l’umano, questo essere che è, allo stesso tempo animale e distintamente umano, coinvolto in una relazione mediata con gli strumenti e contemporaneamente limitato da essi?». Ciò vale ancor di più per l’homo tecnologicus, se come diceva Heidegger la tecnologia non è mai neutra: «La pandemia è solo uno dei sintomi del difficile rapporto “uomo-foresta”: l’aumento della deforestazione, il nostro stile di vita, ci stanno creando problemi di salute, crisi ecologiche e climatiche».
Per alcuni la Natura esiste, per altri è un’astrazione, i greci la distinguevano in bios, la vita che vivo, e zoé, il flusso della vita entro cui sono immerso: «Siamo arrivati a vivere come fossimo separati dalla Natura ma non lo siamo. Forse è più facile capire cos’è la cultura. Spesso giustapponiamo i termini e la loro relazione è uno dei principali problemi dell’antropologia – sostiene Kohn -. Gli umani hanno un modo unico di interagire con il mondo. Lo rappresentano attraverso un sistema di segni, simboli e metafore. Per arrivare al mondo, passiamo attraverso una foresta di simboli. Tutto il pensiero, anche quello delle foreste e degli animali, è mediato. Ma il sistema che usiamo noi crea una separazione: l’umano “fuori” dal mondo è un’illusione. La sfida è trovare un modo in cui bios e zoé siano allineati, una sorta di radicamento per ri-allineare bios e zoé, e usare quel flusso così da potenziarlo attraverso di noi».
Kohn parla di postumano, non umano, oltre l’umano. Per capire il mondo occorre guardare alla complessità: «Uno degli obiettivi nel mio lavoro è ripensare l’antropologia e ciò che significa essere fin troppo umani. Ovvero, ciò che ci rende distintamente ciò che siamo o, usando una formulazione nietzschiana, problematicamente umani. Vi sono alcune cose che ci rendono umani che coinvolgono la logica gerarchica: per esempio, la nostra particolare forma di comunicazione, che coinvolge relazioni di segni, punti e somiglianze, combinati per creare altro. C’è una speciale relazione di annidamento, il nostro non è un mondo di dualismo cartesiano in cui menti umane e materia non umana sono separate. Non tutto ha una mente umana. Né siamo solo materia muta. E questo ci dà il senso di come possiamo comunicare. Non lo chiamerei “linguaggio” quanto avere una forma di scambio con “i non umani”». Come? Per Kohn: «Imparando tecniche che ci permettano di entrare in un dominio più ampio, le relazioni comunicative interspecie», entrare in una forma di comunicazione più “zoetica”: «Che passi dal linguaggio imitativo, poetico, e che rompa quella separazione».
Nel suo libro «la morte è intrinseca alla vita», la nostra società a volte sembra invece una civiltà adolescente: «Freud aveva ragione. Quando dico che una foresta pensa, sto dicendo che la foresta manifesta la mente, è psichedelica. Affinché la mente si manifesti bisogna rompere i vincoli che la trattenevano. Immaginate uno studente universitario che cerchi di scrivere un articolo e si blocchi per fare un pisolino e si svegli con la risposta. Cos’è successo? Un certo aspetto del sé si era bloccato o solidificato, in realtà esso dovrà morire affinché altre cose possano essere riconfigurate. Quando ci aggrappiamo alla vita, così, stiamo cercando di vivere eternamente e adolescenzialmente. Quel che dobbiamo fare invece è permettere ai pensieri di morire, in modo che qualcosa di nuovo possa emergere. Allo stesso modo, mentre pensiamo, alcuni pensieri devono essere uccisi in modo che altri possano emergere».
La pandemia ha cambiato il nostro modo di vivere. In futuro esisteranno città selvagge, campagne urbane, i nuovi abitanti saranno la generazione Greta: «Il mondo in cui viviamo supera il tipo di incanto che vi immettiamo. Partecipiamo allo spirito, al significato, alla cultura. La questione è se ciò si estenda oltre noi. La visione di uno sviluppo della modernità che “si fermi con l’umano” descritta da Max Weber è sbagliata». Intorno a noi vi sono infinite melodie, chiosa Kohn:«Il mondo è una foresta».