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 2021  aprile 03 Sabato calendario

La passione dei tedeschi per gli spioni


La passione dei tedeschi è spiare. Non solo nella scomparsa Ddr, dove la Stasi, la Gestapo rossa, controllava tutto e tutti. Anche all’Ovest. I cittadini infatti collaborano sempre per patriottismo, in nome del benessere sociale. La Repubblica Democratica, dove si voleva creare un paese più giusto seguendo i consigli di Marx, era assediata dai cattivi capitalisti. Nella Germania occidentale si spia per il tuo bene, e correggere i tuoi errori: il vicino ti denuncia se butti la spazzatura nel bidone sbagliato, chiama la Polizei se parcheggi con una ruota in divieto di sosta, e telefona al Finanzamt, il fisco, se ti sorprende alla guida di una Porsche o di una Ferrari. Come l’hai comprata?A oltre trent’anni dalla caduta del Muro, l’archivio della Stasi, cinque milioni di dossier, quasi uno per famiglia su 17 milioni di abitanti, che occupano 111 chilometri di scaffali, passa al Bundesarchiv, l’archivio federale. Resterà per sempre nella memoria nazionale, come un’enorme radiografia dell’animo tedesco. Quindi seguo con umana partecipazione il caso dell’ufficiale di marina italiano che avrebbe tradito la patria consegnando documenti top secret a un agente russo. Lo faceva per la moglie e i quattro figli da mantenere. Non sorrido, mi rattristo.
Ebbene, controllando gli atti, si è scoperto che anche gli Spionen della Stasi, ci marciavano sulle note spese. Passavano il Muro con il pretesto di incontrare un informatore occidentale, in realtà per gustarsi una pizza margherita a spese del regime, anzi un paio, per dimostrare che si era in due.
Quando andavo all’Est, avevo bisogno di un visto speciale come giornalista, tutti noi cronisti eravamo considerati spie in quello che Ronald Reagan definì l’impero del male. L’addetto stampa della Polonia era un giovane gentile, ogni volta mi invitava nel suo ufficio per un caffè e biscottini. E mi faceva domande: secondo te a chi vende armi l’Italia? A tutti, gli rivelavo.
Intuivo il suo problema. Come dimostrare ai capi che faceva bene il suo lavoro da spia? Non voglio pensare male, magari dopo avermi offerto il caffè, avrà messo in conto mille zloty pagati all’informatore italiano, arrotondando così il suo stipendio. Andavo spesso nella Ddr, e parlavo con tutti, era inevitabile che incontrassi qualche agente della Stasi. Avrò avuto senza dubbio un dossier con il mio nome, ma non l’ho mai voluto leggere per non scoprire commenti poco gratificanti sul mio conto.
Una volta che ero in viaggio su invito ufficiale, mi accorsi che avevano perquisito la mia camera in albergo, e protestai con l’accompagnatore e sorvegliante. «Ma no» mi rispose «la compagna cameriera ha messo a posto le tue carte. Tu sei disordinato». Lo pensa anche mia moglie.
Dopo la riunificazione, come ho già scritto, andavo a cena un paio di volte all’anno con Markus Wolf, il leggendario capo del controspionaggio (non la Stasi) della Germania Rossa, cui si ispirò John Le Carré per la trilogia di Karla. Perché lei vinceva sempre contro i servizi occidentali? chiesi a Wolf, Mischa per gli amici, davanti a un piatto di tagliatelle con i tartufi. Ero io a pagare il conto, che non ebbi mai il coraggio di mettere in nota spese. «Perché i miei agenti lavoravano per un’idea, quelli capitalisti per denaro», mi rispose.
Wolf detestava il romanzo La spia che venne dal freddo, e il suo autore. David Cornwell, questo il vero nome di Le Carré, era stato addetto stampa a Bonn, cioè una spia che spiava gli alleati, come il suo collega polacco. E quale romanzo preferisce? volli sapere. Il nostro agente all’Avana, ammise. «Allora lei non crede al suo lavoro». E Mischa sorrise.
Nel romanzo di Graham Greene, anche lui spia per la patria, il protagonista Joe Worlmond, per arrotondare le magri provvigioni di commesso viaggiatore, vende ai servizi segreti americani i disegni dei suoi aspirapolvere, come i congegni dei missili sovietici installati a Cuba. Deve pagare il college alla figlia Milly. Sarà una Pasqua triste per l’ufficiale di marina italiano e la sua famiglia.