la Repubblica, 3 aprile 2021
Il muro di Putin che difende Haftar e i pozzi
STRADA MISURATA-SIRTE (LIBIA) Dalle 6 del mattino gli odori dell’aria e i colori della notte cambiano rapidamente. In Libia la primavera quasi è diventata estate. Sulla costa del Mediterraneo la luce risale veloce: blu, porpora, arancio, giallo. L’aria salata che arriva dal mare solleva la polvere e riporta il sapore aspro del deserto. Superato Abugrein, il penultimo check point delle forze di Misurata verso Sirte, più avanti c’è solo Buerat Alhsor. L’ultima linea prima della terra di nessuno, altri 50 chilometri che dividono dalle postazioni del “Kilo 30” dei soldati del generale Haftar. Da mesi hanno occupato Sirte, assieme ai mercenari russi e sudanesi. E seguendo l’idea e il progetto dei contractor russi della Wagner, gli haftariani stanno terminando di costruire il “muro di Putin”, il lungo muraglione di sabbia che ha un suo scopo militare tutt’altro che banale. Ostacolare un eventuale attacco a sorpresa dei pick-up di Misurata. E soprattutto segnare una linea nella sabbia, una separazione anche “politica” che difende i pozzi della “mezzaluna petrolifera” e di fatto li assegna ad Est.
«Qualche giorno fa abbiamo tenuto il primo incontro fra gli ufficiali dei due eserciti, nella terra di nessuno. L’hanno organizzato i “5+5”, i team di militari libici dei due schieramenti che negoziano la riapertura di questa strada». Il colonnello H (non vuole essere citato) è uno dei capi della Operation Room di Misurata, il comando che ha in carico il controllo di tutta la linea del fronte. Era qui nell’estate del 2016, quando Tripoli e Misurata combatterono per mesi per liberare Sirte dal Daesh, lo Stato islamico.
«Abbiamo iniziato a vedere che i russi facevano scavare il muro dalla fine dell’estate scorsa, un paio di chilometri alla settimana», dice il colonnello. Scavano un fossato di un metro, e poi rialzano un terrapieno di due metri, per cui in tutto sono 3 metri di dislivello. Dietro sono stati costruiti dei campi trincerati nel deserto in cui potrebbero essere riparate le forze dell’Est se la guerra fra le 2 Libie dovesse andare avanti. Visto da vicino il muro impressiona perché è lungo, lunghissimo, innaturale nel deserto, non perché sia alto. Ma un fuoristrada non lo scavalca.
Poco alla volta il muraglione si è sviluppato da Nord verso Sud, 70 chilometri. «I camionisti, le famiglie che passavano in macchina nel deserto ci portavano le foto di questi escavatori in azione», dice il colonnello. Prima dei satelliti, i cammellieri. «Pensavamo fosse qualcosa per il petrolio, poi abbiamo capito che era la loro linea di difesa. Militarmente non ci dà fastidio, capiamo che adesso è soprattutto una questione politica ». Nel giugno del 2020 l’esercito di milizie di Tripoli inquadrato e organizzato dalla Turchia mise in fuga gli assalitori da Tripoli, da Tarhuna da Beni Walid, da Al Watjia. I capi militari misuratini volevano andare avanti verso Est, incitarono i loro soldati. «Dobbiamo continuare, possiamo andare a riprenderci Sirte e tutti i pozzi petroliferi che sono di tutta la Libia», disse il generale Mohammed Al Haddad, il capo di Misurata che oggi è il capo di tutto l’esercito libico, nominato da Serraj. Di sicuro la minaccia di continuare l’offensiva convinse gli strateghi militari di Mosca a reagire, a ordinare ai contractor della Wagner, con i finanziamenti degli Emirati, di assoldare le ditte civili che hanno costruito il muro. Nei fortini nel deserto i russi hanno piazzato anche radar, strumenti di difesa elettronica oltre ad armi pesanti. Dice un altro militare: «Non è un vero muro, e non è di Putin: dietro ci sono soprattutto libici e mercenari sudanesi, non tengono i russi pagati 4000 dollari al mese bloccati in una trincea nella sabbia del deserto». Tutti sanno che i russi hanno fatto altro, come spostare in un paio di aeroporti in tutta questa area immensa circa 15 aerei da caccia Sukhoi e Mig. I libici intercettano le loro comunicazioni, gli esperti della Nato hanno registrato le voci di piloti russi in pensione che da anni girano il mondo dopo aver servito la loro patria nelle forze armate regolari.
Il primo colonnello aggiunge che «adesso i russi della Wagner assieme a molti mercenari si stanno ritirando verso Est e verso Sud, se la riunificazione fra i nostri due eserciti andrà avanti sono sicuro che rimarranno da qualche parte, ma saranno sempre più indietro».
Non lui, ma altre fonti a Tripoli dicono che nel frattempo anche i turchi non sono stati fermi: hanno mandato loro mercenari siriani verso il Sud, se non proprio in Niger. E avendo capito il trucco del muro di sabbia, hanno preso le loro contromisure. In Libia sarebbero arrivati anche dei carri armati pesanti M60-A3. Roba vecchia, tank americani di seconda generazione, ma ottimi sul sulla scena di Libia. Armi che, a parte essere un’ennesima violazione dell’embargo delle armi dell’Onu, dovrebbero essere anche una violazione degli accordi con gli Usa per l’esportazione di quei mezzi. Ma di sicuro gli americani in questa guerra di Libia, con lo scopo di insabbiare i russi, non contesteranno nulla ai generali di Erdogan. «Vedi, attorno a questo muro di sabbia non c’è molto altro se non il deserto», dice il colonnello di Misurata, «ma dietro ci sono gli eserciti di Paesi stranieri. Qualcuno magari vorrebbe continuare a farci fare la guerra, per prendersi loro dei pezzi di Libia».