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 2021  aprile 02 Venerdì calendario

Listini Usa, bolla o non bolla?

L’economia Usa tira come ha confermato ieri l’indicatore Ism manifatturiero cresciuto al ritmo più elevato dal 1983 e Wall Street va a ruota registrando un nuovo record con l’S&P 500 sopra la soglia psicologica dei 4mila punti. Dai minimi di un anno fa le quotazioni sono quasi raddoppiate grazie al traino dei titoli tecnologici.
Apparentemente va tutto bene: la Borsa sale, la volatilità è contenuta e tutti i tentativi di correzione degli ultimi mesi sono prontamente rientrati. Si sa che sui mercati non ci sono pasti gratis e l’eccesso di compiacenza verso il listino può nascondere dei trabocchetti. Non è forse un caso che negli Usa le ricerche del termine “stock market bubble” (bolla) abbiamo raggiunto in questo primo scorcio di 2021 il picco, come evidenzia Google Trends. Sempre più investitori si stanno interrogando se le quotazioni hanno raggiunto livelli vertiginosi che possono preludere a un crollo imminente.
Il pensiero corre all’anno 2000 e alla bolla internet. Se guardiamo oggi le valutazioni dell’indice S&P 500 possiamo dire che il mercato non tratta a multipli particolarmente economici. Il rapporto prezzo/utili a 12 mesi si muove sopra le 21 volte contro una media a 25 anni di 16. Il dividend yield è sceso intorno all’1,5% a fronte di una media storica poco sopra il 2%. Insomma, comprare oggi Wall Street significa acquistare asset non a buon mercato ma gli eccessi del 2000 (quando il rapporto prezzo utili superava 24) non sono stati ancora raggiunti. Le valutazioni in Europa sono più a sconto ma c’è minore visibilità sugli utili. Alcune banche d’affari hanno rilasciato dei report negli ultimi mesi proprio sul tema bolla: l’esito è abbastanza condiviso e scongiura al momento segnali di rischio estremo sui mercati anche se la prudenza è elevata. Tutti gli analisti concordano che i tassi a zero, imposti dalle banche principali banche centrali, modificano il metro delle valutazione e rendono ancora competitivo l’investimento in equity. 
Le maggiori incertezze sembrano arrivare dalll’Asia e soprattutto dalla Cina. Anche ieri è arrivato un nuovo warning delle autorità di Pechino: la banca centrale ha messo in guardia dai rischi finanziari che potrebbero concretizzarsi in default all’interno della seconda economia mondiale. Non è la prima dichiarazione ufficiale che viene formulata nelle ultime settimane. I listini Emergenti hanno sofferto nell’ultimo mese per effetto del rialzo dei tassi Usa e la Borsa di Shanghai è arrivata a perdere oltre il 15% dal top di metà febbraio. 
La situazione appare meno problematica negli Usa e in Europa Il rialzo corale degli indici azionario si basa sull’aspettativa di una forte ripresa nei prossimi trimestri. Gli utili storici dell’ultimo anno risentono ancora dell’effetto della pandemia, che si è scaricato soprattutto sul primo trimestre 2020, mentre gli utili prospettici per il resto del 2021 sono molto positivi e puntano su un rimbalzo vigoroso delle economie. Questa discrepanza tra utili passati e futuri si era creata anche dopo la crisi del 2008. Lo scenario ottimistico è atteso quindi alla prova dei fatti. Due le variabili che potrebbero far deragliare questo quadro idilliaco: da un lato il fallimento della campagna vaccinale in corso e dall’altro un rialzo fuori controllo dei rendimenti Usa, per effetto dell’inflazione, tale da impattare pesantemente sui titoli tecnologici, comparto guida per i listini Usa e asiatici. La concentrazione dei titoli tecnologici e il loro peso sugli indici ha raggiunto infatti livelli senza precedenti (neppure nel 2000).