Corriere della Sera, 2 aprile 2021
Le Carré è morto da irlandese
Un irlandese in più, un britannico in meno. Anzi due, perché qualcosa ci dice che anche la leggendaria spia George Smiley – uno dei personaggi più affascinanti della letteratura nonostante, la grassezza, il grigiore e i brutti vestiti «che pendevano addosso alla sua figura tozza come la pelle addosso a un rospo rinsecchito» – sarebbe d’accordo con il suo amico (e inventore) John Le Carré nel voltare le spalle «disgustato», dopo una lunga carriera, ad un Paese che «ha tradito se stesso». Effetti collaterali della Brexit, uno scherzo diventato realtà in un Paese alla prese con le disavventure familiari della sua monarchia turistica.
A rivelare che Le Carré aveva deciso di prendere la cittadinanza irlandese poco prima di morire, nel dicembre scorso, è stato il figlio dell’autore di La Talpa, Nick Harkaway. In una delle ultime fotografie, ha raccontato a The Times, suo padre era avvolto da una bandiera verde, bianca e arancione. D’accordo, c’era stata anche la scoperta delle sue radici a Cork, da dove proveniva la nonna. Ma se i libri possono svolgere una funzione di testamento, l’ultimo romanzo di quest’uomo che non finiremo di rimpiangere, La spia corre sul campo, è un indiscutibile addio politico al Regno Unito di Boris Johnson. Un addio pieno di gioventù, amore e rabbia, benché sia stato scritto da un ultra-ottantenne.
Chi probabilmente aveva indovinato tutto è John Banville. A lui, amico e collega, Le Carré aveva infatti confessato il desiderio di avere in tasca «un passaporto europeo». Al di là della «scelta irlandese», questo amore per l’Europa di un gigante che ha raccontato le tragedie della guerra fredda non è certamente strano, se ci pensiamo bene. Lo scrittore spagnolo Fernando Aramburu ha detto recentemente che la sua patria «è lo spazio senza confini degli uomini buoni». Se questo è vero, possiamo immaginare cosa sia al contrario una «non patria». E i commiati diventano ancora più comprensibili.