Corriere della Sera, 2 aprile 2021
Storia dell’ambasciata russa a Roma
Astuzie e ingenuità, trucchi sofisticati ed errori da bambini talvolta coesistono nell’agire dei servizi segreti e delle persone delle quali questi si vogliono servire. Nel febbraio 1970 il Sid, Servizio informazioni difesa, catturò un sottufficiale delle forze armate italiane mentre usciva dall’ambasciata dell’Unione Sovietica in via Gaeta a Roma. Al posto della divisa il militare indossava abiti civili, ma il dettaglio non bastò a fargli evitare l’arresto con l’accusa di essere stato negli uffici per rivelare notizie sulla sicurezza dello Stato.
Benché 51 anni più tardi, nel 2021, la consegna di documenti classificati possa essere avvenuta in periferia, se gli addebiti verranno confermati appare singolare che il capitano Walter Biot, incarcerato nei giorni scorsi, si sia illuso di non essere scoperto nel fornirli direttamente a un funzionario della Federazione russa con immunità diplomatica. A Roma sono decenni che quell’ambasciata, rimasta nello stesso posto in seguito alla fine dell’Urss, è considerata sia la rappresentanza di un Paese straniero sia un giacimento di segreti. Curioso sarebbe se il controspionaggio italiano non cercasse di prevenire falle del sistema in quella direzione, come del resto Mosca fa con tanti uffici stranieri. Che un sottufficiale o un ufficiale abbiano potuto trascurarlo è un particolare di qualche valore.
Agli albori della Guerra Fredda, il Partito comunista italiano mandava soprattutto Matteo Secchia, fratello del vicesegretario Pietro Secchia, a portare informazioni riservate all’ambasciata. Ma Mosca assegnava a non comunisti i ruoli di autentiche spie. E perfino in una Roma nella quale le telecamere importanti sarebbero diventate quelle di Cinecittà, non quelle onnipresenti oggi per la videosorveglianza, non mancavano accortezze. In vista delle elezioni del 18 aprile 1948, il segretario del Pci Palmiro Togliatti chiese un colloquio all’ambasciatore sovietico Michail Kostylev. «Si svolse il 23 marzo in un luogo segreto nelle vicinanze di Roma, poiché appariva inopportuno, in quel momento di tensione pre-elettorale, rischiare che divenisse di dominio pubblico un incontro in una sede di partito o dell’ambasciata sovietica», ha ricordato Victor Zaslavski nel libro Lo stalinismo e la sinistra italiana.
Anche per questo il luogo più appartato e più congeniale all’incrocio tra diplomazia e agenti segreti, a Roma, per i russi dal punto di vista storico è stato Villa Abamelek, la residenza dell’ambasciatore. I sovietici vi accoglievano a cena alti dirigenti della politica italiana ogni 7 novembre, anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Da alcuni anni, quando la villa ospita in giugno il ricevimento per la Festa nazionale della Federazione presieduta da Vladimir Putin, i diplomatici invitati di almeno un Paese della Nato hanno la direttiva di non entrare con il proprio telefono cellulare addosso o acceso. Il timore è che la memoria non resti privata.
Chi scrive apprese da cronista, nei primi anni Ottanta, che al Comune di Roma era stato negato dai sovietici il permesso di far scavare sotto l’incantevole giardino del Gianicolo un tunnel da destinare a treni dell’«anello ferroviario», un percorso di trasporto locale. La vigilanza brezneviana riteneva che la galleria potesse servire per intercettazioni
L’ambascia-ta di via Gaeta si trovò sui giornali quando settori dell’estrema destra italiana ignoravano che nel millennio successivo sarebbero diventati filo-putiniani. «Io una molotov l’ho tirata all’ambasciata dell’Unione sovietica», ha detto l’ex dirigente del Fronte della Gioventù Gianni Alemanno, da studente agli arresti per questo, in un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti nel 2009.
Su Villa Abamelek esisterebbero invece nell’Archivio degli Atti antichi di Mosca 800 chili di documenti. Molti saranno sul principe Semen Abamelek che la lasciò in eredità all’Accademia russa di Roma prima della Rivoluzione. Forse non sono lì le carte su Vitaly Yurtchenko, numero 5 del Kgb che nel 1985 scomparse dopo essere uscito dalla villa: riemerse negli Stati Uniti. Prima come transfuga. Poi sostenne di essere stato rapito. E tornò a Mosca.