Corriere della Sera, 1 aprile 2021
Biografia di Walter Biot
«I russi devono aver lavorato sulla sua debolezza, sui problemi personali di Walter», dice un ufficiale che lo conosce bene. E la debolezza di Walter Biot, stando a quanto raccontano i colleghi di una vita, ciò per cui il cinquantaseienne capitano di fregata ha scelto forse di perdersi definitivamente, era da anni la salute della sua bambina più fragile, affetta da handicap grave e bisognosa di cure continue e costose, di un’assistenza totale, per cui lui fruiva anche della Legge 104.
«Il suo bisogno di soldi si conosceva», «sapevamo che non godesse di disponibilità economica», sono queste le voci che si raccolgono ora negli ambienti militari chiusi a riccio, tra i corridoi romani di Palazzo Marina, Palazzo Baracchini e Palazzo Esercito, dove ha sede anche lo Stato maggiore della Difesa. I luoghi che Biot ha attraversato lungo la sua carriera. «Oh beninteso – dice l’ufficiale amico – quello che ha fatto rimane un atto gravissimo per la sicurezza del Paese e della Nato, se si è davvero venduto non ci sono scusanti e così ora si è rovinato la vita, rischia almeno 15 anni di carcere».
Sposato, quattro figli e una casa fuori Roma, da cui partiva ogni mattina per raggiungere l’ufficio Politica Militare e Pianificazione dello Stato Maggiore della Difesa, Terzo reparto, l’ultimo suo indirizzo conosciuto. Con tanti dossier scottanti sotto mano.
Iniziò come sottufficiale della Marina Militare, Walter Biot, poi grazie ai concorsi interni diventò ufficiale: capitano di corvetta e «guida caccia» che in gergo identifica i militari addetti alle operazioni aeree, dal controllo radar alla guida dei jet intercettori. Proprio per questa sua specializzazione per molti anni è stato imbarcato sulle cacciatorpediniere, quindi sulla portaerei Garibaldi. Poi, passò allo Stato maggiore della Marina militare, ufficio stampa. «Da ore non facciamo che chiederci: possibile? – racconta un ex collega di quell’ufficio —. È come se ti dicessero che una persona di cui ti fidavi ha commesso un’enormità. Perché per noi Walter era l’amico di cui non si dubita di nulla. Scherzoso, appassionato, aveva gli occhi che parlavano da soli».
Dal dicembre 2010 all’agosto 2015, un nuovo incarico presso il Gabinetto del ministro della Difesa, a palazzo Baracchini: capo della sezione relazioni internazionali del servizio pubblica informazione. E infine ecco il salto allo Stato maggiore della Difesa, prima alla pubblica informazione, poi alla Politica militare, settore delicatissimo, dove si concorre tra l’altro a tradurre in direttive tecnico-militari le scelte in tema di sicurezza e difesa nazionale. «All’inizio si occupava della rassegna stampa, me lo ricordo preciso, riservato, quasi enigmatico», racconta una donna col grado di maggiore, ex collega di Biot a Palazzo Esercito.
Al Terzo Reparto, però, tutto cambiò: non più le rassegne stampa ma le relazioni internazionali, le consulenze nelle trattative di interesse militare tra i diversi Paesi, il lavoro di elaborazione in materia di distensione e disarmo. Pensarlo lì, davanti al computer, che fotografa di nascosto i segreti della nazione per intascarsi sull’unghia 5 mila euro, adesso disorienta molto chi gli voleva bene. «Questa storia però ci insegna anche – conclude l’ufficiale suo amico – che il nostro sistema ha i giusti anticorpi. Il controspionaggio ha risposto a dovere».