la Repubblica, 1 aprile 2021
I fragili equilibri della nuova Libia
TRIPOLI — Anche in Libia, dopo una guerra civile, per formare un “governo di unità nazionale” bisognerebbe metterci dentro tutti. E siccome per 40 anni il Paese è stato governato dagli uomini di Muhammar Gheddafi, dentro il nuovo governo di Abdelhamid Dbeibah ci sono anche loro, i “gheddafiani”. Lui stesso, Dbeibah, il milionario imprenditore di Misurata, è stato un tecnocrate gheddafiano: non fu coinvolto in nessuna delle operazioni sporche o violente del passato regime, ma è un uomo di mondo, in grado di guidare il Paese verso le elezioni del 24 dicembre. Se poi accadrà qualcosa che lo costringa a rimanere in sella più a lungo, lui è già pronto.
«Ci sono vari tipi di post-gheddafiani», dice un potente ex ministro del governo Serraj, appena sostituito. «Ci sono i gheddafiani ideologici, quelli coinvolti a fondo nelle politiche del vecchio regime, oppure legati alle azioni violente. Ci sono gli uomini della sua larghissima tribù, e le tribù alleate: quelli che proveranno a riciclarsi, ma sono osteggiati dalla maggior parte dei libici e anche di noi capi politici attuali. Assieme ai membri della tribù, ai parenti, ai cugini di Gheddafi, perfino a suo figlio Saif che vive ancora in Libia, proveranno a riorganizzare un loro spazio nel Paese». A fine aprile, a Sirte, dovrebbe esserci proprio una grande convention dei gheddafiani: li appoggiano i russi, che 4 anni fa avevano mandato in Libia un paio di agenti di influenza che preparavano siti Internet e pagine Facebook per mobilitare il popolo libico per la causa.
E poi ci sono i “tecno-gheddafiani”, i tecnocrati di ogni tipo: il primo è proprio il capo del governo. Laureato in Ingegneria in Canada, 61 anni, Dbeibah ha lavorato a stretto contatto con Saif al Islam Gheddafi, dal 2007. Era nel gruppo che il giovane erede voleva mobilitare per creare una successione al padre. Saif gli affidò la Libyan Investment and Development Company (Lidco), responsabile di alcuni dei maggiori progetti infrastrutturali del Paese. In questo ruolo Dbeibah ha conosciuto anche gli italiani della Salini Impregilo. Dal 2007 al 2011 Dbeibah assegnò contratti per miliardi di dollari, anche a compagnie turche, con cui ha mantenuto ottimi rapporti, riavviati proprio in queste settimane.
Nel governo di Tripoli i post-gheddafiani sono anche altri: il primo è il ministro dell’Economia Muhammad al Hawaji. Fu ministro di Gheddafi. Ma la sua riabilitazione “democratica” era stata sancita nel 2019, quando Serraj lo aveva nominato suo consigliere economico. C’è il ministro degli Interni, Khaled Mazen: era un colonello di polizia con Gheddafi, poi viceministro nel governo Serraj, braccio destro di Fathi Bishaga. Nel nuovo governo torna l’incarico di Ministro del Petrolio e del Gas, settore fino a ieri gestito quasi direttamente dalla National Oil Corporation (Noc) guidata da Mustafa Sanallah, un tecnico rispettato in Italia dall’Eni. Anche il ministro Mohamed Ahmed Mohamed Aoun è conosciuto in Italia: è stato presidente del cda di “Mellitah Oil and Gas Company” (la società operativa condivisa da Eni e Noc) ed è stato membro della “Green Stream Bv”, che gestisce il trasporto del gas libico in Italia. Un altro “nostalgico” è Ajdid Maatuq Jadid, alle Migrazioni: è un rappresentante dei Warfalla, la tribù fedelissima al colonnello. All’ambasciata d’Italia hanno analizzato le sue posizioni sul tema: in linea con quelle dei vari governi dal 2011 a oggi. Ovvero: la crisi migratoria è internazionale, bisogna aiutare i Paesi a far crescere le loro economie, difendere il confine meridionale.
Nel governo Dbeibah, 10 anni dopo la rivoluzione, ci sono anche forti elementi di novità: come la coraggiosa ministra degli Esteri. Najla El Manqoush, di Bengasi, avvocato che ha lavorato come ricercatrice universitaria sulla costruzione della pace in aeree di conflitto. Da anni era andata via dal Paese, con una borsa di studio negli Stati Uniti. Forse avrà poco tempo per applicare le sue teorie.
Un ministro che invece porta dentro il governo anche la corrente post- islamista è quello per la Comunicazione e gli Affari politici, Walid Ammar Al Lafi. A Tripoli lo considerano il “braccio mediatico” di Abdel Hakim Belhaj, miliziano vicino ad Al Qaeda, ex emiro del “Gruppo islamico libico combattente”. Al Lafi ha guidato la “Al Naba Tv”, del “Consiglio della Shura dei mujaheddin”, il gruppo contro cui Haftar in Cirenaica ha mosso guerra. Al Lafi ha anche creato una tv vicina ai Fratelli musulmani libici. Dopo la cacciata degli islamisti dalla Cirenaica si era rifugiato in Turchia: adesso torna in Libia come ministro.