il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2021
Il ritorno degli Spostati
“Siamo tutti bombardieri ciechi, Roslyn, uccidiamo gente che non abbiamo mai visto… Vedi, Roslyn, gettare una bomba è come dire una bugia, rende tutto così tranquillo. Dopo un po’, non senti più niente, non vedi più niente. Nemmeno tua moglie. Ora è diverso perché vedo te. Tu sei la prima donna che vedo veramente”.
Chi non ricorda Gli spostati? Il titolo italiano è fascinoso, però non dà contezza dell’originario The Misfits, più fedelmente “I disadattati”. Pace per i personaggi, il disadattamento segnalava invero un mancato adattamento, dal testo di Arthur Miller al film di John Huston. È lo stesso Miller ad avvertire il lettore: “Si noterà che è un’opera scritta in forma insolita, né romanzo, né dramma, né sceneggiatura… Si tratta di una storia concepita come film. Ogni parola è lì allo scopo di dire alla telecamera cosa vedere e agli attori cosa dire… In un certo senso è stato come se già esistesse un film, e lo scrittore stesse cercando di ricrearlo in ogni suo effetto attraverso il linguaggio, così che… ne è gradualmente venuta fuori una strana forma di narrativa… ma che mi sembra abbia forti possibilità di riflettere l’esistenza contemporanea”.
Detto che Gli spostati dovrebbe essere il livre de chevet di ogni sceneggiatore, Miller ne fece una bomba a frammentazione lanciata nella terra di nessuno tra letteratura e cinema: si contarono i morti, si cantò la leggenda. Il film è uno splendido sessantenne: uscì il 1° febbraio del 1961 in America, il 10 maggio dello stesso anno da noi, affidando a Clark Gable, Marilyn Monroe, Eli Wallach e Montgomery Clift la missione di incarnare le vite spezzate dalla contemporaneità, al triangolo Clark (il cowboy Gay), Eli (il meccanico aviatore Guido) e Marilyn (la bella Roslyn) di prevenire il Jules et Jim dell’anno seguente, a Miller di sovrascrivere il proprio amore per la Monroe.
Gli spostati torna in libreria con Nutrimenti nella sapiente traduzione di Nicola Manuppelli, cui si deve anche una ghiotta postfazione. Nato sotto il segno del meticciato funzionale, financo dell’eterodossia semiologica, crebbe sul set a immaginario e somiglianza dell’eresia cui s’era votato: amori, morti e altri disastri, la teoria a forzare la prassi, la filmografia a deflagrare le biografie. E spostare i confini di Hollywood più in là: un figlio unico, con una madre, molti padri e nessun erede, questo è The Misfits.
Non fece prigionieri: fu l’ultimo film di Clark Gable, che se ne andò di lì a poco, appena cinquantanovenne, con un figlio postumo, John Clark; fu l’ultimo film completo di Marilyn Monroe, che morì il 4 agosto del 1962, a trentasei anni, per overdose di barbiturici. Un De profundis preterintenzionale, da cui l’eros non marcò visita: la storia tra Miller e Monroe era agli sgoccioli, giacché divorzieranno in Messico nel gennaio del 1961 a macchina da presa ancora calda, eppure Roslyn, che rimarrà tra i suoi ruoli migliori, non calza solo a pennello a Marilyn, l’inedita foggia drammatica rivela un surplus di sentimento, la firma non dello sceneggiatore, ma dell’uomo.
Sul set Arthur avrebbe conosciuto la seconda moglie, la celebre fotografa Inge Morath, sul set Marilyn avrebbe girato la prima scena di nudo del cinema americano, poi tagliata al montaggio. Questi fantasmi, e nel novero è pure Montgomery Clift: nel 1956 – sta girando L’albero della vita… – un incidente d’auto lo sfigura, l’amica Liz Taylor gli leva dalla gola il dente che lo sta soffocando, non la necessità di un intervento chirurgico che lo lascerà preda di antidolorifici e alcool, fino alla morte nel 1966. The Dead, da James Joyce, sarebbe stato nel 1987 il film terminale di John Huston, qui dirigeva ancora i vivi: Clark, Marilyn e gli altri spostati.
Anch’egli si concesse uno spostamento di non poco conto: Miller aveva pensato di usare gli spazi aperti per esprimere l’interiorità dei personaggi, viceversa, Huston optò per i primi piani, “perché – scrive Manuppelli – i volti di quegli attori contenevano già quegli ‘spazi’, quelle solitudini, quell’essere ‘fuori posto’”. Come cavalli selvaggi.