la Repubblica, 31 marzo 2021
Il fantasma di Kundera
Capita di vederli passare come ombre sul boulevard Raspail. Un uomo alto, incanutito e una piccola donna con un taglio alla garçonne. «Due corpi sconvolgenti quanto le loro vite di tormento attraverso secoli e confini, due anime gemelle avvolte nello stesso destino, condannate a vivere e morire incantenate» scrive Ariane Chemin ne À la recherche de Milan Kundera. L’autore ceco e la moglie Věra sono fantasmi nella Ville Lumière. Ancora oggi sul citofono dell’appartamento parigino il nome di un altro romanziere e quello di un traduttore islandese servono a confondere eventuali curiosi. Gli amici fidati – tra i pochi, il filosofo Alain Finkielkraut, la scrittrice Yasmina Reza, l’intellettuale Christian Salmon – sanno che per ottenere risposta al telefono fisso devono fare un segnale in codice: prima uno squillo, poi due. Nei rari incontri di gruppo, lo scrittore pretende che non ci siano immagini. L’unica persona che può fotografarlo è la moglie con la quale ha condiviso tutto nell’ultimo mezzo secolo.
Da trentasette anni, Milan Kundera è «scomparso volontario», come scrive Chemin nel prezioso racconto, a metà tra inchiesta e pellegrinaggio sentimentale, che esce domani in Francia, pubblicato da Éditions du sous-sol. L’eclisse del romanziere è avvenuta sull’onda del successo mondiale de L’insostenibile leggerezza dell’essere. «Sono in overdose di me stesso» aveva confidato il romanziere all’amico Salmon. L’intervista a Bernard Pivot, durante Apostrophes, è l’ultima volta in cui si è concesso ai riflettori. In quel 1984 Chemin era davanti al piccolo schermo. «Un venerdì sera di gennaio, ho scoperto i suoi occhi blu e le sue parole languide alla televisione» ricorda l’autrice che aveva vent’anni ed era rimasta incantata da quel romanziere venuto dal Freddo, impastato di silenzi e timidezza, così diverso dal frastuono dei scintillanti anni Ottanta. Alla giornalista, firma di punta di Le Monde, era rimasto un sogno: incontrare un giorno Kundera. Aveva intravisto da lontano la coppia nelle strade della capitale. «Ma non ho mai osato avvicinarmi».
Come approcciare qualcuno che ha fatto di tutto per cancellarsi dalla realtà? Due estati fa Chemin si è messa sulle tracce dello “scomparso volontario” per un’inchiesta a puntate per il quotidiano francese. Da Praga alla Corsica, da Rennes alla Boemia, ha dovuto fare una lunga manovra di avvicinamento. Fino ad ottenere un appuntamento con Věra Kundera in un café. «Le nostre vite non hanno nessun interesse» l’ha avvertita la moglie dello scrittore, che chiama la sua interlocutrice «agente 007» dimostrando di avere un rapporto complesso con i media anche se è il mondo dal quale viene. Nel suo paese era una delle giornaliste televisive più famose, fu lei ad annunciare in diretta l’invasione dei carri armati russi nel 1968.
Meno nota è la prima moglie di Kundera, Olga Haas, figlia del compositore vittima dell’Olocausto. Anche lei, racconta Chemin che l’ha ritrovata a Brno, nella città natale di Kundera, è legata a un patto del silenzio con l’ex marito. Nella Repubblica Ceca, l’autrice ha notato un certo disamore per il romanziere che nel 1975 ha scelto di esiliarsi a differenza di altri intellettuali. «Vaclav Havel ha fatto la prigione ed è diventato presidente. Kundera è partito in Francia, ed è diventato scrittore» è una delle battute che gira sulla gloria nazionale. Kundera aveva perso la nazionalità durante la dittatura e l’ha recuperata solo tre anni fa per volere del premier Andrej Babiš. L’oligarca anti-sistema è venuto a Parigi per riconciliare lo scrittore con il suo Paese. Senza davvero riuscirci.
A Praga non c’è più traccia dei Kundera in via Bartolomejská, la strada dove abitava la coppia prima di fuggire. Anche la facoltà di cinema dove il romanziere insegnava negli anni Sessanta non ha pensato di onorare lo scrittore. «Il suo paese natale lo snobba, i giovani non lo hanno letto» nota l’autrice che ha consultato i dossier della polizia segreta che sorvegliava Kundera, ribattezzato nei rapporti “Elitár”, elitista. «La teoria dell’elitismo è fissata in lui» scrivevano le spie del regime. L’autrice ha indagato sul caso Dvorácek, dal nome di un giovane oppositore che fu espulso nel 1950 e che, secondo alcuni media locali, sarebbe stato denunciato da Kundera. Un gesto di delazione che assomiglia a quello del protagonista de Il valzer degli addii. Chemin ha verificato l’autenticità dei documenti, messo a confronto la lettura che ne fanno gli storici, senza arrivare a una conclusione definitiva. Di certo gli articoli sull’affaire Dvorácek e l’uscita di una biografia poco lusinghiera ha convinto i coniugi Kundera che il ritorno in patria non sarà mai più possibile. «È terribile per me sapere che morirò qui» confida Věra che, divertendosi a giocare a nascondino con la giornalista, finisce per essere al centro del libro. Solo una volta l’autrice ascolta brevemente la voce dello scrittore al telefono, prima che la moglie riprenda il controllo. In un’Europa che si identifica con il sentimento di nostalgia, secondo una celebre definizione di Kundera, anche il rapporto con la Francia finisce per essere tormentato. Il romanziere ha ottenuto la nazionalità nel 1981, cominciando a scrivere in francese per Gallimard. Ma dalla fine degli anni Novanta sono emerse voci ostili nella critica letteraria. L’identità è stato stroncato da diversi giornali, la coppia ha tagliato i ponti con alcuni intellettuali. Per vendicarsi Kundera ha scelto di pubblicare prima in Spagna e in Italia i suoi nuovi romanzi, L’ignoranza e La festa dell’insignificanza.
Lo scrittore, che oggi ha 92 anni, ha imposto tagli e modifiche alle sue opere raccolte nella Pléiade. Fuori un traduttore dal passato compromettente. Via la prefazione di Aragon perché «troppo politica». Le poesie giovanili sono finite nel cassetto. Lo scrittore ama citare una frase di Flaubert: «L’artista deve arrangiarsi per far credere alla posterità che non ha vissuto». La coppia, che non ha avuto figli, esce ormai poco dal domicilio nascosto in fondo a una piccola via senza uscita, vicino ai giardini del Luxembourg. Di rado la luce esterna penetra nell’appartamento. Le persiane restano chiuse in quella che Věra chiama la sua «prigione».