«Orgogliosamente, preferisco definirmi così – il messaggio di Lorenzo – sono Aspie».
Donnoli, nel libro scritto con Paolo Fontanesi lei lo dice in modo chiaro: essere "Aspie" non significa essere malati. Eppure ancora oggi si fa molta confusione.
«La sindrome di Asperger è un tipo di autismo ad alto funzionamento. Non è una malattia o una disabilità, né un disturbo psichiatrico o della personalità. È solo un cervello che funziona in modo diverso e che ha diritto alla diversità. Io l’ho capito tardi, d’altra parte in Italia il tasso di diagnosi Asperger fra gli adulti è tra i più bassi nel mondo occidentale. Per questo ho deciso di raccontarmi: vorrei che la società lo capisse e non ci discriminasse. Siamo diversi, non malati».
Quali sono le difficoltà con la quali ha dovuto fare i conti sin da piccolo?
«Il nostro senso di giustizia e di amore per la verità ci portano a soffrire fin da bambini, spesso ci fanno sentire impotenti. Visualizziamo le parole quando le pronunciamo, siamo goffi nei movimenti, abbiamo ottima memoria fotografica, ma soffriamo di alcuni deficit: non chiediamo aiuto, facciamo fatica a mettere a fuoco i volti, il nostro vocabolario delle emozioni, soprattutto da piccoli, è limitato nonostante a livello cognitivo e linguistico siamo spesso i più forti. La mia infanzia e adolescenza sarebbero stati più facili se insegnanti, parenti e coetanei fossero stati più consapevoli di come funzionava il mio cervello.
Oggi c’è una cognizione più diffusa dell’autismo in tutto il suo spettro, soprattutto in ambito scolastico e io a un certo punto ho trovato l’insegnante giusta. Ma credo che se ne sappia ancora troppo poco».
Un ostacolo è stato anche il rapporto con il cibo?
«La selettività alimentare è un altro grande problema. L’ho provato sulla mia pelle: alle elementari ne combinavo di tutti i colori pur di evitare la mensa. Non volevo mangiare gli animali e il gelato. Puntavo i piedi a terra, mi tenevo stretto al banco mentre la maestra tentava di prendermi di peso. Ovviamente non era un bene».
Lei ha conosciuto anche momenti bui...
«Per la prima volta racconto di aver tentato il suicidio. L’ho fatto per mandare un messaggio chiaro: ho sbagliato, ai giovani come me dico che si può essere diversi, ma non bisogna mollare. Mai. Più sono cresciuto più sono cambiato e ho capito che essere me stesso, semplicemente, era la svolta. E che dovevo lottare per il diritto alla diversità. L’ho fatto, ora lo racconto».
Nel libro parla anche del suo coming out rispetto all’omossessualità: altro ostacolo da saltare in una società ancora ostile?
«Mi fingevo bisessuale per nascondermi. All’università mi sono baciato con un tipo davanti ai miei amici, fu il mio coming out con loro. Soltanto in quel periodo ho realizzato che non c’era nulla di male ad essere gay. Anche se non è facile accettare la propria omosessualità in un Paese in cui le leggi non ci proteggono da teorie riparative, discriminazioni e violenze e in cui la politica non ci concede gli stessi diritti delle persone eterosessuali».
Infine, l’impegno politico: che futuro vede nelle Sardine?
«È ancora un tentativo di immaginare il cambiamento e l’alternativa. Organizzai la prima piazza a Ferrara pensando che dovevamo prenderci il futuro perchè nessuno ce lo avrebbe regalato, tantomeno una politica distratta che non ha come priorità i diritti, l’istruzione, i migranti e il clima. La politica mi ha sempre attratto, a 12 anni partecipai alla campagna per Cofferati sindaco a Bologna. Da grande, cito Hirschman, ho trovato la felicità dell’impegno. E alla sinistra suggerirei di fare quello che ho dovuto fare io da Aspie: immergersi nella vita degli altri».