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 2021  marzo 30 Martedì calendario

I conti in rosso della Serie A

La “Serie A spa” è un’azienda decotta, che non riesce a essere competitiva a livello internazionale e nemmeno a far quadrare i conti. Impressiona soprattutto questa apparente contraddizione nel leggere i bilanci dei club italiani. Costi e debiti sempre più su in seguito a movimentazioni forsennate nel calciomercato, eppure non vinciamo una coppa europea da oltre un decennio. L’inchiesta annuale della Gazzetta presenta numeri da emergenza assoluta, visto che il quadro economico-finanziario, già molto precario, è stato definitivamente compromesso dal Covid: nel 2019-20 la Serie A ha registrato una perdita aggregata di 754 milioni, contro il -292 del 2018-19, con il fatturato al netto delle plusvalenze crollato a 2,2 miliardi dai 2,7 della stagione precedente, i costi stabili a 3,5 miliardi e le plusvalenze in leggero calo, da 727 a 658 milioni. Ma il numero da tenere bene a mente è un altro, e cioè quello dei debiti (al netto dei crediti) che sfiorano ormai quota 2,8 miliardi, 300 milioni in più rispetto a 12 mesi prima, in un’escalation inarrestabile: 10 anni fa erano 1,4 miliardi, praticamente la metà.
Correzioni in corsa
La scorsa stagione è stata particolarissima, sotto tanti punti di vista. L’industria del calcio si è fermata per tre mesi a causa dello scoppio della pandemia a marzo, riprendendo l’attività a giugno e spostando la chiusura della stagione al 31 agosto 2020. Ciò ha comportato, dal punto di vista contabile, una serie di correzioni nella stesura dei bilanci al 30 giugno che, giocoforza, falsano la lettura dei dati. Prendiamo il conto economico aggregato della Serie A 2019-20. I 500 milioni di ricavi in meno sono dipesi per circa 350 dal Covid (di cui i 250 dei diritti tv non svaniti ma semplicemente spostati all’esercizio successivo) e per 150 da altre congiunture (per esempio: 45 milioni per l’estinzione di contratti asiatici dell’Inter, 50 per la mancata Champions della Roma, 15 per la mancata Europa League del Milan, 15 per il divieto imposto alla pubblicità del betting). Sul fronte dei costi il dato aggregato, pari a 3,5 miliardi, è rimasto in linea con l’anno precedente ma solo perché l’emergenza coronavirus ha consentito un risparmio di circa 250 milioni di stipendi, per effetto della spalmatura degli stessi in 14 mensilità anziché 12 e degli accordi individuali di alcune società con i rispettivi tesserati. Cosa significa questo? Che la tendenza reale era di un aumento ulteriore della spesa, stimabile in 100 milioni di ingaggi e 150 di ammortamenti. Non a caso, i costi del personale dei club di A sono sì diminuiti figurativamente a bilancio ma non della stessa entità del risparmio Covid: da 1,75 a 1,6 miliardi. 
Si stava già male 
Le squadre pagano gli strascichi dello shopping compulsivo degli ultimi anni, figlio dell’ubriacatura da diritti tv e dell’espediente delle plusvalenze. Colpisce, in particolare, il crescente carico degli ammortamenti dei “cartellini” dei giocatori: 628 milioni nel 2017-18, 787 nel 2018-19, 933 nel 2019-20. Fatto sta che i bilanci dei club italiani si sono appesantiti al punto da mostrare ormai una dinamica costi-ricavi insostenibile. A maggior ragione con le prime crepe del trading: tra plusvalenze e altri proventi (prestiti, premi di valorizzazione, bonus) si è perso un centinaio di milioni. Il risultato? Considerando che l’impatto del Covid, tra minori ricavi (350 milioni) e minori costi (250), è stato negativo per circa 100 milioni, senza questo effetto il deficit della Serie A 2019-20 sarebbe stato ugualmente elevatissimo: ben 650 milioni, ossia 350 in più del 2018-19. La cartina di tornasole sta nel debito galoppante. Sottraendo i crediti ai debiti lordi siamo a 2.771 milioni di debiti netti contro i 2.482 del 2018-19. L’esposizione verso le banche e gli istituti di factoring si è mantenuta su livelli molto alti (1,5 miliardi) e sono in crescita i debiti verso i fornitori: 541 milioni nel 2019-20, erano 371 nel 2015-16. Al 30 giugno 2020 soltanto tre squadre di A non avevano debiti bancari: Cagliari, Fiorentina e Napoli (più la retrocessa Lecce). E c’è da dire che pure l’indebitamento con il Fisco è salito, rispetto all’anno prima, di un centinaio di milioni, a quota 385. È l’effetto della sospensione dei versamenti fiscali e contributivi, scattata la scorsa primavera e replicata questo inverno, come misura di sostegno all’economia per fronteggiare il coronavirus. Il vantaggio è senza dubbio quello di alleggerire il costo del lavoro (l’Irpef è al 43% per i calciatori di Serie A) e di dare respiro alla cassa, prosciugata dall’azzeramento dei ricavi da stadio e dalla riduzione di altre fonti di entrata, ma si tratta pur sempre di debito che si aggiunge a debito. 
Beni rivalutati 
D’altra parte, il calcio sta vivendo una crisi finanziaria senza precedenti. Come uscirne? I proprietari che possono permetterselo mettono mano al portafoglio. Già nel 2019-20 gli apporti dei soci dei club di A erano sensibilmente incrementati: quasi 700 milioni tra versamenti in conto capitale e prestiti, contro i circa 200 del 2017-18 e del 2018-19, soprattutto in virtù dell’aumento di capitale da 300 milioni della Juventus (concepito per gli investimenti, rivelatosi una diga contro la pandemia) e delle iniezioni di Commisso nella Fiorentina (circa 70 milioni nella scorsa stagione). I club costretti ad operare in autosufficienza devono compiere salti mortali. Altre due misure anti-Covid vengono in soccorso: la possibilità di sospendere gli ammortamenti del 2020 e di rivalutare i beni d’impresa. Vi hanno aderito, per esempio, Sampdoria e Udinese. In tal modo si irrobustisce il patrimonio netto e si rimanda l’appuntamento con la ricapitalizzazione. Ma sono interventi contabili, senza passaggio di soldi. Il problema della cassa resta e per questo molti club, soprattutto i medio-piccoli, speravano nell’ingresso dei fondi in Lega. Beninteso, non tutti si trovano nella stessa situazione. L’Atalanta è il club messo meglio, grazie al ciclo continuo di valorizzazione dei talenti e ai premi Champions delle ultime due partecipazioni: sta per essere festeggiato il quinto bilancio di fila in utile con l’esercizio al 31 dicembre 2020. Ok pure Cagliari e Verona. E tra le big, che soffrono tantissimo l’assenza di pubblico negli impianti, il Napoli ha beneficiato del fieno in cascina accantonato negli anni precedenti. Ma non è il caso di dividere buoni e cattivi. Questa è una crisi di sistema. E come sistema va affrontata.