Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 30 Martedì calendario

Uno scudo contro il Sole per raffreddare il Pianeta

I rischi posti dal riscaldamento climatico sono tali da non poter escludere alcun intervento, anche estremo. Le emissioni di gas serra non stanno diminuendo abbastanza rapidamente da evitare i temuti livelli di pericolo per molte aeree della Terra. Quindi, se non si riesce a contenere al di sotto dei due gradi centigradi l’aumento della temperatura con i provvedimenti finora considerati, è necessario esplorarne altri in grado di incidere significativamente sui risultati. Sono questi i motivi che hanno spinto le National Academies of Science, Engineering and Medicine degli Stati Uniti a preparare un rapporto in collaborazione con il Dipartimento dell’Energia, la National Oceanic and Atmospheric Administration, la Nasa e alcune fondazioni private per indagare il ricorso a interventi di «geoingegneria solare» al fine di ridurre il calore portato dalla radiazione dell’astro, una delle componenti del riscaldamento. «Questi, però, non rappresentano un sostituto della decarbonizzazione da perseguire come stabilito diminuendo le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra nell’atmosfera» ha precisato Chris Field, del Woods Institute for Environment della Stanford University e alla guida del rapporto. E prima di tutto bisogna stabilire se questi interventi sono possibili o se invece generano effetti collaterali ancora più dannosi. 
Le operazioni considerate sarebbero di tre tipi. Una prevede lo spargimento di aerosol (particelle di zolfo) nella stratosfera tra 16 e 25 chilometri di altezza per aumentare la riflessione verso lo spazio della radiazione. Un’altra la generazione di nubi sugli oceani per intensificare la riflettività e la terza sarebbe mirata a un indebolimento delle formazioni nuvolose (i cirri) tra i 6 e 13 chilometri di quota per consentire una più facile dispersione del calore dalla superficie. 
In aggiunta si immagina l’installazione di specchi metallici in punti lontani dalla Terra distanti 1,5 milioni di chilometri che formerebbero una sorta di scudo per respingere il flusso solare. Tutto ciò, però, obietta qualche esperto, potrebbe essere fonte di squilibri nell’atmosfera ancora più dannosi, come la modifica di eventi meteorologici locali; per esempio il comportamento dei monsoni nell’Asia meridionale, rendendoli ancora più violenti. In parallelo si teme che la diffusione della geoingegneria possa ridurre la pressione dell’opinione pubblica sul fronte degli altri interventi indispensabili. Comunque prima di tutto bisogna studiare la fattibilità delle operazioni con progetti in collaborazione internazionale e il primo passo dovrebbe essere un piano nazionale condotto insieme dalle agenzie federali con le istituzioni scientifiche e sostenuto da un finanziamento di 200 milioni di dollari. Il fine dovrebbe essere, appunto, quello di capire se sia possibile procedere senza conseguenze negative. 
L’idea della geoingegneria climatica era stata proposta nel 2006 da Paul Crutzen, ingegnere e fisico dell’atmosfera (scomparso nel gennaio scorso, a 87 anni) premiato con il Nobel per la chimica per aver decifrato i meccanismi di distruzione dell’ozono atmosferico da cui è scaturito anche il famoso buco sopra l’Antartide. «Bisogna stabilire – diceva Crutzen – se i benefici sono maggiori dei rischi e in tal caso accettare la sfida». Alla domanda si ricollega il rapporto per trovare una risposta utile. Negli ultimi tre lustri sono state numerose le ricerche compiute da istituzioni, centri di ricerca, università sia negli Stati Uniti che in Europa. Ma adesso è necessario compiere degli approfondimenti. 
Alla richiesta di un commento sul Rapporto avanzata dal New York Times, il portavoce della Casa Bianca ha precisato che il presidente Joe Biden «è stato chiaro sugli orientamenti della crisi climatica e che scelte innovative in grado di trovare una soluzione dovrebbero essere considerate e studiate».