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 2021  marzo 30 Martedì calendario

In volo con l’aereo che disattiva le bombe dell’Isis

DECIMOMANNU (CAGLIARI) — L’angelo custode sta in cima alle nuvole e veglia affinché nessuno si faccia male. Soprattutto in Afghanistan e in Iraq, quando la notte amplifica le minacce: nessuno lo vede ma tanti devono la vita alla sua protezione. In fondo, questa è la missione di uno degli strumenti più sofisticati dell’Aeronautica: il bimotore C-27 Jedi. Il nome rievoca i cavalieri di Star Wars e indica un acronimo complesso – Jamming and Electronic Defense Instrumentation – che in sostanza significa “guerra elettronica”, la più segreta delle sfide contemporanee. Una lotta combattuta con onde elettromagnetiche, decidendo la sorte delle battaglie senza esplodere un colpo. Nella stiva dell’aereo infatti c’è un sistema in grado di scoprire, disturbare o accecare qualsiasi frequenza: li chiamano “attacchi”, anche se vengono sparati soltanto impulsi.
I Jedi italiani sono in azione da sette anni, con un’attività mantenuta top secret. Ogni tanto i siti web di spotter ne individuano uno che vola in circolo sui monti del Kurdistan. Cosa fa? Scorta dal cielo una spedizione contro i rifugi dell’Isis, accompagnando le forze irachene o quelle della coalizione internazionale. I suoi apparati captano le frequenze usate dai jihadisti e ne ostacolano le trasmissioni fino a bloccarle: così impediscono ai miliziani di concordare le mosse. Poi nei punti critici del percorso, quelli in cui potrebbe scattare un’imboscata, letteralmente viene “spento tutto": se i terroristi cercassero di attivare un ordigno, usando una radio o un cellulare, si troverebbero in mano un telecomando inutile. In pratica, il bombardamento elettronico li priva della loro arma più letale.
Per la prima volta in assoluto, abbiamo assistito a una di queste operazioni nel poligono sardo del Salto di Quirra, dove i Jedi si addestrano per perfezionare le tattiche in uno scenario montuoso simile al Kurdistan. Nell’aeroporto di Decimomannu viene pianificata la missione: un convoglio deve raggiungere una base isolata e l’intelligence descrive il percorso, segnalando 13 punti ad alto rischio. Sono stati avvistati missili portatili e mitragliere pesanti, quindi l’aereo non dovrà scendere sotto i cinquemila metri. Il pilota studia il meteo: «Siamo fortunati, ci sarà un tappeto di nuvole e ci renderà totalmente invisibili».
A bordo c’è un equipaggio misto. Dell’aereo si occupano gli aviatori del 98° gruppo di Pisa – i “Lupi” – mentre gli specialisti del Restoge – i “Corvi” – gestiscono il sistema di guerra elettronica. Il tempo di volare fino alla costa e scatta il “buzzer on": il sistema viene acceso per cominciare la caccia alle frequenze. Ne agganciano otto nemiche, che bisognerà continuare a tracciare. I piloti seguono le indicazioni dei tecnici, mantenendo il bimotore a una distanza utile. Tutti a bordo obbediscono alle richieste che arrivano dal campo, dove un ufficiale – in gergo Jtac – coordina l’avanzata del convoglio con “l’angelo custode”.
Muoversi lungo gli sterrati è faticoso: almeno due ore per 35 chilometri. A seconda della situazione, da terra scelgono il tipo di intervento. Chiedono di far zittire solo alcune frequenze oppure disturbarle tutte. Fino al momento più delicato, quando vengono notati movimenti sospetti e allora parte lo “strike": gli impulsi azzerano ogni comunicazione, impedendo di telecomandare le trappole esplosive. Sullo schermo questo bombardamento invisibile si trasforma in istogrammi, che ricordano le immagini di un vecchio film di fantascienza. Uno tsunami elettronico di onde blu che travolgono la linea rossa del segnale avversario, fino a spezzarlo.
Per oltre un’ora il convoglio va avanti senza ostacoli. Poi all’improvviso dalle rocce aprono il fuoco contro le camionette con razzi e mitragliatori. L’attività sull’aereo diventa frenetica. I piloti spingono il C-27J più in basso: avvicinandosi al suolo, aumenterà la potenza degli impulsi. Ma anche i pericoli e per questo attivano lo schermo di autodifesa, con sensori radar che avvistano i missili e sganciano “chaff” per deviarli. La simulazione è altamente realistica, pure per donne e uomini che hanno condotto decine di vere missioni. Quindici minuti di massima tensione. Quando torna il silenzio, a terra prima di proseguire la marcia chiedono di “giocare il jolly": il Jedi oscura tutte le frequenze ostili, tranne una specifica. I terroristi sono costretti a usarla e non sanno che l’intelligence la sta ascoltando: parlano di una bomba piazzata pochi chilometri più avanti. L’aereo si abbassa di nuovo e “spegne” l’area, cancellando l’ultima minaccia.
In Afghanistan di operazioni del genere ne hanno fatte più di 400. L’equipaggio ricorda il 2014 quando gli italiani consegnarono gli avamposti all’esercito di Kabul e bisognava riportare indietro lunghe file di camion. «Atterravamo, facevamo il pieno, saliva un team fresco e si ripartiva per altre sei ore». Nella campagna irachena contro lo Stato islamico l’impegno è ancora più massiccio. Già 5200 le ore di volo. «Spesso anche gli americani ci chiedono di scortarli», commenta un ufficiale senza nascondere l’orgoglio. Questo infatti è un sistema totalmente italiano. L’aereo viene prodotto da Leonardo. Hardware e software sono stati realizzati dai militari del Restoge a Pratica di Mare, il laboratorio della guerra elettronica. «Non ci siamo preoccupati di costruire un sistema destinato al mercato, ma solo di ottenere le capacità che ci servivano», spiega il generale Alberto Rosso, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica: «Operare nello spettro elettromagnetico oggi è indispensabile e noi grazie al Jedi abbiamo un’eccellenza, che intendiamo migliorare ancora».