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 2021  marzo 30 Martedì calendario

Non sparate sulla memoria di Philip Roth

Mentre escono biografie che lo celebrano, tornano anche alla ribalta, sull’onda del #MeToo, le accuse di misoginia e di odio per le donne Ma non bisogna confondere i demoni di uno scrittore con gli abusi Era inevitabile: l’ondata del movimento #Me Too arriva a colpire anche Philip Roth, con l’intento di travolgerlo e ridimensionarlo sul piano sia umano che letterario. Il fatto che ciò avvenga in maniera postuma, e che lo scrittore non sia in grado di difendersi, sembra del tutto irrilevante.
Le accuse, generiche e poco sostanziate, vengono elencate da Josh Glancy su Air Mail, e avvengono a margine di una serie di pubblicazioni, tutte estremamente celebrative: la monumentale biografia di 800 pagine a firma di Blake Bailey, autorizzata da Roth; uno splendido ritratto di David Remnick sul New Yorker, e la pubblicazione di With Philip di Benjamin Taylor, che ne è stato intimo amico. Nelle accuse non c’è nulla di nuovo: nel 1976 la critica letteraria Mary Allen parlò di «rabbia e delusione di Roth nei confronti dell’universo femminile» a proposito del finale di La mia vita di uomo, nel quale un abuso domestico è descritto in maniera secca e senza empatia. Vivian Gornick scrisse che «per Roth le donne sono mostruose» e George Stade aggiunse che sono «viziose ed eccitanti o virtuose e noiose». Non si può dimenticare che nel 2011 Carmen Callil, giurata dell’International Booker Prize, si dimise in segno di protesta quando gli venne assegnato il riconoscimento. C’è da aggiungere che Calill era a capo delle edizioni Virago, che hanno pubblicato in Australia il durissimo libro di memorie scritto dalla seconda moglie Claire Bloom.
Chi lo conosceva di persona, sapeva che Roth era un misogino nella stessa misura in cui era un misantropo, e ritengo che le accuse che vorrebbero fare di Roth un maschilista dall’impronta medievale, siano inconsistenti e superficiali quanto quelle di antisemitismo: sia sul piano letterario che su quello umano, lo scrittore ha elaborato, con dolore e crudeltà innanzitutto nei confronti di se stesso, la relazione controversa con le proprie radici e un rapporto con l’altro sesso che aveva i connotati patologici della dipendenza. Questo non significa che non abbia avuto atteggiamenti sgradevoli e anche impropri, come l’aver assunto assistenti in base alla loro avvenenza fisica, ma ben altro è la molestia o l’abuso sessuale.
Molte delle relazioni, a cominciare dalle due mogli Margaret Martinson e Claire Bloom, sono state caratterizzate da scontri e accuse di abuso psicologico, ma anche nei casi più aspri – negati ripetutamente da Roth – si è trattato di episodi avvenuti all’interno della dinamica di una coppia di maggiorenni che vivevano il rapporto in maniera consenziente. Appare poi soltanto fango moralista il ricordare che frequentasse prostitute e bordelli: se sul piano letterario si tratta di un’imputazione persino risibile, su quello umano è stato lo stesso scrittore ad autorizzarne la rivelazione nella biografia. L’affermazione di Ira Nadel, autore di Philip Roth: a Counterlife, secondo cui era «ossessionato dal sesso, nella letteratura come nella vita reale» appare generica e soprattutto irrilevante: e allora? ci sarebbe da replicare, mentre quanto dice Dara Horn al New York Times — «quello che Roth non sapeva delle donne riempirebbe un intero libro» – è tutto da dimostrare, e inoltre la scrittrice non elabora l’accusa. Più articolata Sandra Newman, che sostiene: «È tempo di confrontarsi sull’opera di Roth: la gente tende a non parlare della sua misoginia, o a limitarsi a un sorriso imbarazzato, ma è al centro del suo lavoro. Da un punto di vista odierno, i libri sono dal lato sbagliato del #MeToo, e spesso hanno un uomo vittima della cancel culture: è il momento di ricontestualizzarli».
Sul piano artistico un’accusa sui contenuti appare sbagliata e anacronistica, e bisogna riflettere se non sia invece un suo merito il mettere in guardia da potenziali degenerazioni emotive: c’è da chiedersi se non stia pagando il fatto di essere l’autore de La macchia umana, il più duro e profetico atto d’accusa alla correttezza politica e alla cancel culture. Illuminante questo passaggio: «Lasciamo una macchia, un percorso, una traccia. L’impurità, la crudeltà, l’abuso, l’errore, l’escremento, il seme: non c’è altro modo di esistere. La verità su di noi è infinita. Come le bugie». Da questo punto di vista appare più interessante la posizione di Meg Elison: «Non si può negare che quest’uomo sia un genio e uno scrittore fantastico, ma la sua misoginia infonde ogni cosa che scrive. Non è il contorno, ma il piatto principale. È disgustato dalla propria attrazione nei confronti delle donne, ed è il motivo per cui le descrive spesso come delle prostitute ammalate di sesso».
Poche dichiarazioni, come quest’ultima, centrano gli spasmi e il dolore lancinante di Roth, e nessun romanzo è illuminante come Il teatro di Sabbath,dove il protagonista, una versione esasperata e tragica dello stesso scrittore, arriva a masturbarsi sulla tomba dell’amante Drenka. Ma anche in questo caso parliamo di un testo che rimane un capolavoro, qualunque cosa possa rivelare sull’autore.
Di fronte a questo grottesco processo al cadavere, questo sì di stampo medievale, mi permetto di concludere con un dato che ho avuto il privilegio di vivere in prima persona: ho conosciuto donne che hanno mantenuto un rapporto di affetto, solidarietà e stima nei confronti dello scrittore dopo la fine della relazione, e sono testimone del fatto che cinque di esse hanno vegliato con sincero amore e profonda gratitudine sul suo letto di morte.