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 2021  marzo 29 Lunedì calendario

Che fine ha fatto Simone Farina

«B
eato quel popolo che non ha bisogno di eroi», ammoniva Bertold Brecht. Dieci anni dopo aver fatto irruzione nella popolarità con il fare schivo che non ha mai perso, Simone Farina ritiene che il basso profilo sia l’unico che gli si addica. Nel 2011 il calcio lo scoprì come l’uomo che, grazie alla sua denuncia, diede il via alla seconda parte dell’operazione «Last Bet» sulle scommesse clandestine e le partite accomodate. Giocava nel Gubbio e gli venne offerta una somma pari più o meno all’ingaggio annuale per truccare un match di Coppa Italia. Simone denunciò e il calcio italiano perse ancora una volta quell’innocenza che forse non aveva mai avuto. Per il difensore, allora 29enne, si spalancarono le porte della fama. Prandelli, c.t. azzurro, lo volle a Coverciano, Blatter, presidente della Fifa, lo chiamò a far parte di una commissione, l’Interpol lo incorporò nei suoi programmi. Lo vollero quasi tutti, con qualche ritrosia da parte del calcio italiano. La morale? Meno dirompente di ciò che si crede. E il motivo lo spiega lui, mentre passeggia per un parco di Birmingham, la sua seconda casa.
Farina, non abbiamo più bisogno di eroi?
«Io non mi sento eroe e l’ho sempre detto. Ho fatto solo quello che era giusto fare, proteggendo la mia professione. Certo, ho pagato un prezzo importante, perché ho dovuto smettere di giocare, ma ho avuto la capacità e la fortuna di reinventarmi in un contesto internazionale. Sono direttore generale di un’agenzia di procuratori svizzera, la “First”. Mi occupo di opportunità commerciali e sportive. Abbiamo anche fatto una social school per insegnare l’uso dei social, oltre che curare la parte “integrity”. Mi sono reinventato, come avevo fatto all’inizio con l’Aston Villa. Alla “First”, adesso, abbiamo gente come Olmo del Lipsia, Ikoné del Lilla, Majer e Jakic della Dinamo Zagabria. Ho aperto anche una Academy in Inghilterra e una scuola calcio a Roma, la mia città. Con i giovani ho sempre lavorato bene».
Dieci anni dopo, il calcio è cambiato?
«Mi pare di sì. C’è tanta formazione sul tema “integrità” e l’Italia sta lavorando bene. Per i ragazzi è fondamentale per non cadere in tentazione. Dieci anni fa era un terreno che nessuno conosceva. Ora le federazioni e le leghe sono molto sensibili».
Ha avuto l’impressione di essere stato dimenticato?
«Devo essere sincero: all’inizio sì, ma lo giustificavo persino, perché la mia denuncia aveva avuto una risonanza mediatica enorme, anche se io non avrei voluto. Era un momento di caos. Poi ho avuto la fortuna di incontrare il presidente della Lega di B Abodi, che quando ha saputo che potevo essere interessato a collaborare in Italia, mi ha chiamato immediatamente. Lui mi ha sdoganato e ora posso dire di non essere stato dimenticato».
Come si vive avendo un passato come il suo?
«Ho provato a sdoppiarmi. In passato ho fatto quello che ho fatto, ma poi ho voluto lavorare duramente per farmi riconoscere quello che ancora posso dare nel calcio. Ho fatto esperienze con l’Aston Villa, la Fifa, l’Interpol, poi nel Leeds. Ho focalizzato le mie forze a dividere la mia immagine. Non è stato facile, ma per fortuna la mia famiglia è sempre stata con me».
Le capita mai di guardare partite e di sospettare?
«Il problema del match fixing c’è stato, ma ora è più difficile che accada. Società e leghe sono a conoscenza di tutto. Ma è normale che ci siano dinamiche che possono sfuggire. Non bisogna mai abbassare la guardia».
Con il sistema in crisi per il Covid, i rischi aumentano?
«L’infiltrazione può sempre succedere. Per questo è importante investire sulla formazione dei giovani. Si è cominciato 10 anni fa e ora se ne vedranno i risultati. La pandemia potrebbe essere anche un banco di prova, perché nei problemi potrebbero esserci rischi, però supereremo questo momento».
È stato d’accordo con la sospensione degli sponsor dei siti di scommesse per i club?
«Rappresentano un introito importante. Io penso che con parte di quel denaro si potrebbe cercare di aiutare chi soffre di ludopatia. Il calcio potrebbe farsi testimonial nella lotta a chi è ammalato di scommesse».
Due istantanee: il momento più brutto e il più bello degli ultimi dieci anni.
«Il più brutto è stato cambiare Paese, cambiare lavoro. Non vedevo oltre il mio naso. Ero spedito in una situazione in cui ero all’oscuro di tutto, ma paradossalmente il momento più bello è stato proprio questo: vivere un’opportunità così grande di crescita come uomo».
Con Infantino ha lo stesso feeling che c’era con Blatter?
«Ho avuto alcuni approcci quando c’era Boban, poi però è andato al Milan e lì ci siamo fermati, ma col presidente ho sempre avuto un buon rapporto, anche quando era alla Uefa. Non lo sto sentendo, ma mi piacerebbe collaborare a dei progetti di “integrity”. Mi sento pronto».
C’è qualcuno che l’ha delusa in questi dieci anni?
«Devo essere sincero: ho trovato persone fantastiche. Vorrei citarne tanti, ma ne dico uno su tutti: Ronald Noble, l’ex segretario generale dell’Interpol. Se ho fatto questo percorso è stato grazie a lui e alla Fifa».
La famiglia le ha mai detto: «Ma chi te l’ha fatto fare?».
«Inizialmente abbiamo sofferto tanto e il dubbio lo abbiamo avuto. Ma senza denunciare, avrei rischiato la squalifica, quindi si è superato tutto».
Ha mai rivisto chi lei ha denunciato?
«Mai».
Le piacerebbe farlo?
Lungo silenzio. «Non credo». 
La pandemia è un’occasione per ripensare il sistema calcio?
«Certo. È il momento per investire di più sui giovani».