Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 29 Lunedì calendario

I tedeschi non hanno infangangato Dante

Un articolo intelligente ha scatenato l’ira di chi è abituato a fare della cultura l’occasione per un derby, allo scopo di farsi animatore della curva, perché più la tifoseria si arrabbia, più ti si stringe attorno. A nulla vale spiegare che la cultura non è né competizione né status symbol, perché è evidente che, in questa storia, la cultura non c’entra nulla.  L’articolo è dell’intellettuale tedesco Arno Widmann ed è uscito sul quotidiano Frankfurter Rundschau nel giorno più simbolico di questo settimo centenario della morte di Dante, il 25 marzo. 
Commenti indignati, sbigottiti, reazioni isteriche da ogni parte, su siti web, nei telegiornali, e poi prese di posizione scomposte di ministri ed ex ministri, e persino di giallisti, che si sono mobilitati contro il «tizio tedesco».  Il motivo? Dante Alighieri sarebbe stato attaccato. E, all’apparenza si tratta quindi di un nobile motivo e potrebbe anche sembrare ottimo segno l’attività culturale che diventa dibattito. Ma è una truffa. Non c’è stato nessun attacco, l’articolo non definisce Dante plagiatore, non afferma che è anni luce dietro a Shakespeare, non dice che era un arrivista, non dichiara, infine, che gli italiani non hanno proprio niente da festeggiare. 
L’autore vuole solo dire che un testo letterario non nasce mai dal nulla, è come il buon vino, mantiene traccia degli umori della terra da cui è nato. La colpa di Widmann è di aver detto che Dante nasce nel solco di diverse tradizioni, come quella della poesia provenzale, che inventa per prima la poesia in volgare. Un’operazione che, Widmann precisa, però, Dante fa lievitare. Il fatto che esistano dei precedenti, dice Widmann, non sminuisce Dante, così come non lo sminuisce il fatto che esista persino un testo arabo tra le possibili fonti d’ispirazione dantesca. L’idea di cultura, di sapere, di conoscenza che dobbiamo portare avanti non è la gara tra chi ha il poeta più grande di tutti. 
L’altra colpa di Arno è stata di ammettere che leggere Dante è maledettamente difficile (a dispetto di quanto ne dica Eliot!) perché necessita di una chiave speciale. Questo è il problema della cultura medievale, è una cultura complessa, ricca di costruzioni simboliche, decisa a viaggiare sempre e solo sul polisenso. 
Arno Widmann è stato allievo di Theodor Adorno, ha cofondato la TAZ, storico giornale della sinistra di Berlino ed è stato responsabile della sezione culturale di uno dei settimanali più colti d’Europa, lo Die Zeit nonché responsabile della pagina delle opinioni della Berliner Zeitung. Widmann ha anche tradotto Umberto Eco, Curzio Malaparte e Victor Serge. Si poteva mai pensare che un intellettuale con il suo profilo potesse dire quelle fesserie su Dante? No. È che di Dante si voleva fare un uso strumentale. 
Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono subito mobilitati contro l’attacco lanzichenecco di Arno! Ma è stato solo un modo per fare ammuina, per suonare il ritornello trito della patria più bella e dello scrittore più grande, per coprire il fatto che non hanno né progetti né piani né visione per ritirare su la cultura italiana. 
Dante è stato un esule, infangato e diffamato per tutta la vita. Il 27 gennaio del 1302, un tribunale uscito da un governo golpista lo ha accusato di concussione e peculato, di essersi arricchito illecitamente durante i mesi della sua attività politica, come priore e come consigliere dei Cento. Per i primi tredici anni del suo esilio, a Firenze, si è fatto di tutto per impedirgli di rientrare, escludendolo sistematicamente da ogni amnistia. Quando. nel 1315, fu compreso infine nella lista dei graziandi, non si vollero cancellare le accuse mossegli. Dante allora non rientrò, scrisse ad un amico che: se questo era il prezzo, se il prezzo era la menzogna, allora preferiva morire nella verità dell’esilio. 
Difendere la verità è un buon modo per rendere omaggio a Dante. Trasformarlo, invece, in un’icona da mettere sul cappellino è proprio il modo per riportarlo dentro a quel tipo di politica che fino all’ultimo cercò di non far vincere a Firenze.

***

Allora Arno Widman, è vero che hai attaccato Dante?
«Tutt’altro, ho sempre amato Dante e ne ho già scritto diverse volte. Dante è il più grande esempio di poeta in esilio e la parte migliore della letteratura europea, da Ovidio in poi, è stata creata in esilio. Io indago la letteratura dell’esilio da sempre».
Quindi non pensi che Dante sia un plagiatore?
«Ah, ah, mai pensato e mai scritto…».
Non credi che l’Italia non debba festeggiarlo?
«Davvero hanno scritto questo?!».
Come mai hanno così travisato il tuo articolo?
«Questa reazione apre una finestra sulla mentalità italiana. Dante è una figura di identificazione, gli italiani si sentono persi e così ognuno cerca di tornare a valori certi, antichi scolastici, di un tempo: Dante».
Ma identificarsi con Dante cosa c’entra con manipolare un articolo tedesco senza leggerlo?
«Non c’è bisogno di leggere, aspettano una possibilità di gridare ITALIA e Dante è una buona opportunità. Dire Italia per ribadire: noi qui, voi lì. Non devi leggerlo nemmeno l’articolo, anzi meglio non leggerlo potrebbe deluderti perché hai bisogno di dire questa è l’Italia mia, questo è il mio Dante, nessuno osi toccarli. Per farlo devi avere un avversario. Forse è solo bisogno di stringere qualche sicurezza in tanta insicurezza».
Il tuo canto della Commedia preferito?
«Da ragazzo amavo il canto XXVI, il canto d’Ulisse. Trovai geniale che tra tutte le colpe che potevano condannarlo, Dante scegliesse proprio la curiosità. Soffrivo per questa pena, mi sentivo anche io tormentato dal peccato della curiosità. Ora che sono vecchio, trovo conforto in molte pagine del Paradiso, i gusti cambiano».
Non hai detto che Shakespeare è meglio di Dante?
«Per nulla, ho fatto riferimento a Eliot, sottintendevo un suo scritto molto famoso, in cui divide la letteratura in due, da una parte Dante e dall’altra Shakespeare. Ho concentrato questo nella riflessione su Dante pensatore morale, poeta che si mette sul trono di Dio per giudicare e Shakespeare, che gioca con gli uomini nella sospensione del giudizio. Dante mette Paolo e Francesca nell’inferno per poter dire che Dio sbaglia nel condannarli. Vuole svelare che la società che ha giudicato i due amanti è la più ingiusta delle società. Dante è famelico nella ricerca del sapere, accede a una conoscenza totale, e in questo è modernissimo. Leggo tutta la sua opera come il tentativo di voler giudicare il giudizio, unire scienza e morale, mettere il poeta al posto di Dio».
Pensi che ci sia del risentimento anti tedesco nell’aver voluto travisare in questo modo le tue opinioni?
«Non lo so, io ho 74 anni e il risentimento vissuto da giovane, quando un tedesco che viaggiava era sempre “il nazista”, oggi non c’è praticamente più. Mi ha fatto ridere vedere la mia faccia sul profilo di Salvini, ecco mi sono detto: il cattivo tedesco che aggredisce il padre della patria!».