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 2021  marzo 29 Lunedì calendario

Usa-Cina, i tre fronti del duello

Fra due potenze ostili vi sono quasi sempre molte affinità. Sono egualmente ambiziose, hanno gli stessi timori, gli stessi desideri e gli stessi obiettivi. Lo abbiamo constatato negli scorsi giorni quando il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il responsabile per gli Affari Esteri del Partito comunista cinese Cinese Yang Jechi si sono incontrati ad Anchorage, in uno Stato, l’Alaska, che è nella Federazione americana dal dicembre 1959. La Cina e gli Stati Uniti sanno perfettamente che cosa accadrebbe se uno dei due cedesse alla tentazione di ricorrere alle armi. Sono potenze nucleari e correrebbero il rischio di impegnarsi in un conflitto all’ultimo sangue. Non vi è altra soluzione se non quella di un compromesso che dia qualche soddisfazione a entrambi. Ma né Pechino né Washington, per il momento, sembrano essere disposte a lanciare segnali di pace. 
Non sappiamo quali siano le loro rispettive strategie, ma esistono almeno tre nodi che per il momento non vogliono sciogliere. Il primo è Hong Kong, la regione sulla costa meridionale della Cina che, dopo una lunga amministrazione britannica, è stata restituita al vecchio proprietario il 1° luglio 1997. Ma i suoi abitanti vorrebbero conservare la legislazione liberal-democratica dell’amministrazione britannica, mentre Pechino non vuole trattarli diversamente dai suoi sudditi. Le maggiori democrazie occidentali, per il momento, hanno deciso di continuare a tutelare i desideri della popolazione. Il secondo nodo è Taiwan, una Repubblica indipendente di fronte alle coste meridionali che i portoghesi chiamavano Formosa. La Cina ne rivendica la proprietà (il museo dell’isola custodisce ancora una buona parte delle opere che appartenevano a quello di Pechino e furono portate in esilio dai dirigenti cinesi quando dovettero lasciare il continente); mentre una legge del Congresso americano ha impegnato il governo di Washington a difendere Taiwan con le armi e annuncia così al mondo, sia pure indirettamente, che l’isola è un satellite americano. Il terzo nodo infine è quello degli uiguri, una popolazione turcofona di religione musulmana che abita nel Xinjang e che Pechino tratta molto duramente. Un negoziato in queste circostanze sembra impossibile. Quando si sono incontrati i rappresentanti dei due Paesi hanno esordito con una arringa. Blinken ha detto che la Cina è una minaccia alla stabilità globale; mentre Jeng gli ha risposto che gli Stati Uniti sono tornati alla mentalità della Guerra Fredda e stanno esortando altri popoli a insorgere contro la Cina.
Speriamo che questo scambio di battute sia soltanto un duello verbale in cui ciascuno dei duellanti parla anzitutto per quella parte dei suoi governanti per cui ogni accordo sarebbe interpretato come un pericoloso cedimento alla volontà dell’altro.