La Stampa, 29 marzo 2021
Giuseppe Penone difende il suo albero per Dante
Lo accusano di aver creato un’installazione in omaggio a Dante che con il Sommo Poeta non c’entra nulla. E per di più di avere avuto l’ardire di sistemarla a Firenze nel cuore di Piazza della Signoria. Lui preferisce non ragionar di loro, guardando e passando oltre le polemiche.
La flemma non fa certo difetto a Giuseppe Penone, piemontese, classe 1947, maestro dell’Arte Povera che dopo aver ricevuto in 50 anni di carriera i riconoscimenti internazionali per le sue sculture piazzate nel giardino delle Tuileries o al Louvre di Abu Dhabi, ora è nel mirino dei fiorentini e di critici d’arte come Vittorio Sgarbi che lo ha accusato di aver creato un Pinocchio senza vita. Come aveva previsto Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, inaugurando quattro giorni fa Abete, l’albero di Penone alto 22 metri, «l’arte contemporanea crea sempre dibattito, e anche stavolta sarà così».
Penone, lo pensava anche lei o è stato sorpreso dalle polemiche?
«Guardi, certe ironie e certi commenti sono normali da parte dei fiorentini, e anche simpatici per certi versi. Vorrei però precisare che quella scultura è stata fatta nel 2013 e quindi non c’era alcun legame con l’anniversario dantesco né con Piazza della Signoria».
Allora com’era nata?
«Era una riflessione sulla crescita del vegetale, sul suo avvitamento che tende verso l’alto, la luce. L’opera nasce da un abete che ho trovato nel Cuneese e che doveva essere abbattuto. Mi pareva adatto per sottolineare l’energia della sua crescita spiraliforme visualizzata appoggiando sezioni di bambù ai rami di acciaio della scultura. Il tema era proprio quello dell’avvitamento e della tensione».
Quindi è stata una forzatura inaugurarla nel Dantedì?
«Se uno cerca un riferimento letterale forse non lo trova, ma non è in fondo un processo dantesco quello della linfa dell’albero che s’inabissa fino alle radici e poi si rialza fino alla chioma, e dell’avvitamento della luce verso l’alto? Forse che Dante non è sceso sino agli inferi per poi sollevarsi al Paradiso e alla somma conoscenza? E se ci pensa, l’idea della spirale c’è in molte altre sculture, per restare a Firenze anche nel David di Michelangelo, dove la tensione degli arti si avverte fino a poterla toccare».
Quindi quando gli Uffizi le proposero la mostra non si parlava di un utilizzo delle opere in chiave dantesca?
«La mostra, per dirla tutta, doveva essere inaugurata a febbraio, ma causa Covid è slittata a giugno. No, non dovevo mettere Dante a ogni costo in questo allestimento, anche se penso che, essendo io italiano, tutta la mia cultura e formazione sia impregnata di immagini dantesche. E quindi anche il mio lavoro, magari pure involontariamente, ha delle relazioni con il mondo così come ce l’ha trasmesso Dante».
Però i fiorentini paragonano l’opera a un albero di Natale spelacchiato.
«Come tutte le opere, anche la mia può piacere o non piacere. Dicono che questa scultura è un albero spoglio, ma se guardiamo bene questo non è un periodo felice, penso che traduca bene il tempo che stiamo vivendo. Di sicuro le mie sculture, anche sistemate in spazi pubblici all’estero, non hanno mai ricevuto critiche pesanti e soprattutto, pur collocate all’aperto, non sono mai state vandalizzate. In ogni caso si tratta di polemiche che si spegneranno presto, visto che la mostra chiuderà a ottobre».
Vittorio Sgarbi la accusa di essere autoreferenziale e di proporre sempre lo stesso soggetto, cioè l’albero.
« Ho fatto ben altri soggetti, lavori sul soffio, per esempio, sul respiro. L’amore per l’albero è nato nel 1968 quando avevo 21 anni. Un’epoca di minimalismo e semplificazione. Allora pensai a un’opera che proponesse la mia mano realizzata in acciaio che creava un contatto con un albero di una certa età, in un momento specifico. Il titolo del lavoro era Continuerà a crescere tranne che in quel punto. La bellezza dell’albero è inconfutabile, una forma che rasenta la perfezione, l’assoluto».
Tornando ai fiorentini pensa che si calmeranno?
«Penso che la polemica sia stata fatta più grande di quello che è, in bilico fra divertente e surreale. Sappiamo tutti bene che a Firenze ci si accapiglia ancora sull’aggiunta del ballatoio a Santa Maria del Fiore 500 anni fa. Ma ciò di cui sono più convinto è che alla fine, osservando meglio questa scultura, qualcuno si accorgerà che la spirale è vita. Anche tra i rami secchi».