Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 29 Lunedì calendario

Alec Ross: «Vivremo di più, patetici i catastrofisti»

Trent’anni fa è venuto per la prima volta sotto le due Torri per un corso di Storia medievale e poi è diventato un esperto di innovazione. Alec Ross, 49 anni, consulente per le politiche tecnologiche di Barack Obama e di Hillary Clinton, da settembre è tornato all’Università di Bologna, ma stavolta per insegnare alla Business School il «Futuro digitale», che è anche un laboratorio che cura per la Fondazione Feltrinelli di Milano e che darà vita a una serie di incontri su luci e ombre del nuovo capitalismo.
Quali sono i pro dell’era tecnologica?
«Tanto per cominciare vivremo di più. La combinazione tra genomica e Big data allungherà la vita. E poi vivremo meglio, per esempio la app musicale Spotify aiuta a scoprire piccoli gruppi e permette loro una remunerazione. Non va dimenticata l’efficienza: uno smartphone sostituisce tanti oggetti, penso al navigatore o alle vecchie mappe».
E i contro?
«Ci sono dei pericoli, ma trovo patetici i catastrofisti. I rischi fanno parte di ogni novità, vanno valutati e poi bisogna andare avanti. Certo, si possono fare delle mediazioni: non serve passare da una società analogica a una digitale in un anno».
Il tema al centro del lavoro con Fondazione Feltrinelli è: come non perdere posti di lavoro?
«È la domanda più importante, però ne vanno aggiunte altre: i giovani vivono in condizioni soddisfacenti? Il sistema educativo è ancora attuale? Se le risposte sono negative allora vuol dire che qualcosa va cambiato. Non si può restare fermi sperando che l’innovazione non ci coinvolga. Da un lato bisogna agire sulla scuola, sui suoi temi e sulla sua durata: solo un sistema educativo efficiente garantirà l’occupazione del futuro. E poi bisogna essere sinceri sia con i lavoratori sia con le multinazionali: chi non ce la fa a digitalizzarsi va accompagnato fuori a spese di chi in questi anni ha guadagnato miliardi come le grandi piattaforme tecnologiche. Serve un nuovo contratto sociale tra imprese, cittadini e governi».
Google, Amazon e Facebook contribuiranno ai prepensionamenti?
«È un fatto di giustizia e va fatto in tutto il mondo o almeno con un patto transatlantico. Come bisogna stabilire che l’ultimo assunto non può guadagnare oltre dieci volte meno dell’amministratore delegato. Anche le imposte vanno rese più progressive. E si potrebbe lavorare meno e continuare a farlo quasi tutti: quattro giorni a settimana sono sufficienti».
La pandemia spinge in questa direzione?
«Sta succedendo di colpo quello che doveva accadere in tanti anni. Molti lavori fisici torneranno come prima, ma quelli più intellettuali si svolgeranno sempre meno in ufficio. Dopo un anno in famiglia o in campagna vedremo molte scelte individuali. E questo cambierà il mondo».
È realistico lo spezzettamento delle grandi compagnie tecnologiche?
«È giusto oltre che realistico, ma non facile. Penso si troverà una mediazione, come appunto più tasse e contributi sociali. Google e Apple se la caveranno così, mentre Facebook potrebbe venire costretto a cedere qualche pezzo. Biden vuole avere un ruolo storico e ci lavorerà, così come aiuterà i sindacati a entrare in Amazon».
Sarà ancora un secolo americano?
«Sì, ma in un mondo maggiormente multipolare e con tante grandi aziende digitali cinesi ai primi posti in vari settori. L’Europa sembra voler fare l’arbitro di questa partita, mentre con un po’ di coraggio potrebbe diventare il terzo incomodo, anche dal punto di vista tecnologico».
Perché è venuto a vivere in Italia?
«L’innovazione della Silicon Valley è stata quasi fredda, mentre serve una combinazione con l’umanesimo e allora quale posto migliore? E poi volevo che mia moglie e i miei figli conoscessero il vostro stile di vita. Infine, la Bologna Business School fa parte dell’università più antica del mondo, ma guarda al futuro».
È vero che ha trovato più competenze sull’auto in Emilia che in Silicon Valley?
«Sì, non a caso la chiamano Motor Valley, ma deve digitalizzarsi e guardare all’elettrico. Tesla e Toyota sono esempi».
Ha detto che a Bologna sono ottimisti, in altre parti d’Italia meno?
«Più si va a Sud e più si parla dei problemi senza cercare soluzioni. Gli italiani devono sapere che vengono invidiati in tutto il mondo per lo stile di vita, ma non si devono adagiare troppo. In Italia si vive bene anche se non si è ricchi, in Silicon Valley no, per non parlare delle trattorie bolognesi».
Com’è cominciata la presidenza Biden?
«Ha vinto di poco e come un nonno saggio sta provando a riappacificare gli Stati Uniti. Lavorerà sulle disuguaglianze, ha messo 1900 miliardi di dollari sul lavoro e vuole spenderne altri sulle infrastrutture, così da adeguarsi ai Paesi asiatici. Dopo il rientro nell’accordo di Parigi sul clima spingerà per una vera economia circolare».
I repubblicani supereranno Trump?
«Ci proveranno, ma ha ancora molto consenso. Gli investimenti folli delle lobby per diffondere fake news hanno radicalizzato tanti americani e ora è difficile tornare indietro».
Segue la politica italiana?
«È molto complicata da capire per un americano, ma spero che il governo Draghi riesca a fare le riforme impopolari di cui si parla da anni».
Da democratico cosa consiglia al nuovo corso del Pd?
«Conosco il segretario Enrico Letta ed è molto in gamba. Spero cominci dalle cose semplici, che riguardano tutti, come la burocrazia. È un problema evidente, ma nessuno fa niente per risolverlo. Un Partito democratico dovrebbe occuparsene e questo ricreerebbe subito fiducia nella gente. E poi vorrei ci fossero più donne e giovani impegnati in politica. Li vedo nelle associazioni e nelle università, ma è come se esistesse un fossato tra loro e le istituzioni. Il Partito democratico potrebbe farsi carico di coinvolgere la società civile».