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 2021  marzo 29 Lunedì calendario

Il lungo viaggio da Bisanzio all’algoritmo

I libri parlano tra loro sempre, nella testa di chi legge. Così, aprendo la raccolta di saggi AI & Conflicts (Krisis Publishing, a cura di Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti, traduzione di Elisabetta Rattalino) ho pensato a Il Buddha bizantino, il saggio di Silvia Ronchey in apertura a Storia di Barlaam e Ioasaf (Einaudi, 2012) e subito dopo a Memestetica. Il settembre eterno dell’arte di Valentina Tanni (Nero edizioni, 2020).
Nel suo saggio, Ronchey scrive che «le strade del sincretismo sono infinite». Il sincretismo – «accordo o fusione di dottrine di origine diversa», secondo Treccani – a cui fa riferimento Ronchey è connesso alle storie trascritte, tradotte e adattate nel mondo bizantino, e all’incredibile incrocio di culture e lingue a Bisanzio. Ronchey sottolinea quanto a esergo di tutta la letteratura bizantina possa mettersi la frase di Giovanni Damasceno «non dirò nulla di mio».
Le questioni sottolineate da Ronchey, cruciali per capire il rapporto tra Intelligenza Artificiale (AI) e contemporaneità, sono essenzialmente due: la prima è che la traduzione o la traslazione da una lingua a un’altra è il meccanismo vitale, principe, di una civiltà formata dall’incontro di etnie diverse e diverse culture; la seconda è che l’autore, in senso bizantino, non è che «l’ultimo e decisivo interpolatore e traditore, in quanto traduttore e traspositore» di una storia da una lingua a un’altra, a un’altra ancora. Se invece di pensare a una lingua fatta di parole, pensiamo a una comunicazione che avanza per immagini, immediatamente capiamo di vivere in un nuovo impero bizantino nel quale ciascuno di noi è l’ultimo autore – temporaneo – di un’opera.
«Nell’ultimo decennio si è verificato qualcosa di molto significativo: la cultura visiva ha cambiato forma, si è separata dalla visione umana ed è diventata in larga parte invisibile. La cultura visiva umana è diventata un tipo speciale di visione, un’eccezione alla regola. La stragrande maggioranza delle immagini è ormai creata da macchine per altre macchine, con raro coinvolgimento degli umani. Un cambiamento epocale sta avvenendo in maniera invisibile davanti ai nostri occhi» (Trevor Paglen, autore del primo saggio di AI&Conflicts). Cosa c’entri Bisanzio con l’intelligenza artificiale, lo raccontano i vari studiosi, ciascuno da un punto di vista – scienza, natura, politica, arte, architettura – autori dei saggi di AI & Conflicts che si occupano di indagare il rapporto tra Intelligenza Artificiale e cultura contemporanea. Negli scritti, si intravede la possibilità di avvicinarsi con strumenti artistici, antropologici, entomologici e politici ai prodotti dell’intelligenza artificiale e, partendo da quelli – output, risultati – immaginare cosa accade nella scatola nera dell’algoritmo e minimizzare, in base ad essi, ciò che è ineliminabile, cioè la parzialità della tecnologia. Assumersi la responsabilità e le possibilità immaginative della tecnologia: questo è il nodo di AI & Conflicts. «L’ideologia che propone l’AI come uno strumento neutrale e oggettivo è la stessa che domina da alcuni decenni una buona parte del discorso politico e istituzionale contemporaneo».
Dal punto di vista matematico, l’Intelligenza Artificiale somiglia molto all’algebra, è un insieme di «interpolazioni, gradienti e regressioni che l’operatore umano (o non umano) utilizza per interfacciarsi con grosse quantità di dati». Della lettura responsabile dei dati e dell’educazione a questa algebra, anche comportamentale, che è l’intelligenza artificiale si occupa una azienda, con sede a Modena, chiamata AmmaGamma, fondata qualche anno fa da Fabio Ferrari, ingegnere, con dottorato in matematica. Sul sito ( ammagamma. com) è possibile leggere (e firmare) il Manifesto della Razionalità sensibile nel quale si legge: «Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sta radicalmente trasformando la nostra capacità di interpretare e comprendere la realtà in cui viviamo. Ogni fenomeno è un sistema complesso di informazioni in relazione ed ognuna di esse rappresenta una risorsa preziosa, in grado di attivare nuove capacità di interpretazione e nuove opportunità di crescita. Noi ci proponiamo di valorizzare queste risorse, attraverso un atto esplicito di riaffermazione della consapevolezza umana, perfezionata e potenziata dalla matematica, quale strumento di generazione di nuove visioni e di nuove opportunità di sviluppo sociale».
Nonostante l’Intelligenza Artificiale rischi – come pure avvertono le pagine di AI&Conflicts — di automatizzare la dittatura del passato, e fissare, nel presente, tassonomie e modelli di comportamento trascorsi, essa è il mezzo con cui riusciamo a interpretare e analizzare la mole di dati che, dalla diffusione del World Wide Web in qua, produciamo e raccogliamo. Produciamo nonostante noi, raccogliamo nonostante noi, e utilizziamo per cercare, verificare e talvolta pericolosamente indurre, regolarità nei nostri comportamenti.In questa mole di anonimato, repliche e modifiche, di algoritmi, di riconoscimento facciale e classificazione di insetti, c’è forte, la volontà di far parte del racconto, di dire «io». Se le immagini sono un linguaggio – come osservava già John Berger negli anni Settanta – è vero che esse hanno rappresentato fino a oggi un linguaggio che non presumeva dialogo. Adesso che gli strumenti di creazione e modifica di immagini sono maturi – possono cioè essere usati da tutti – ciò che si diffonde e crea sia comunicazione, sia interpretazione (dunque critica), è il meme.
Da questo punto, Valentina Tanni disegna in Memestetica la sorprendente linea che unisce Duchamp a TikTok. Passando dalle parole alle immagini, e dalle immagini alle sequenze binarie, abbiamo l’occasione di ri-raccontare, sperando sempre di rintracciare «la stringa genetica delle storie»: non l’identità che tanto ci ossessiona dunque, ma l’origine.