la Repubblica, 29 marzo 2021
Semantica del “chiusurismo”
La pandemia è la pandemia ma è anche le parole per dirla. Abbiamo imparato subito che quando si parla di “tamponamenti drive through” non è necessario il modulo di constatazione amichevole, invece non abbiamo ancora imparato bene che un vaccino non è un siero né un antidoto ma è un vaccino e nell’attesa ci esercitiamo a distinguere tra i ristori di Conte e i sostegni di Draghi. Ne abbiamo saputa una nuova ogni giorno, fino alla prima volta in cui abbiamo sentito inveire contro i “chiusuristi”.
A proposito di questi ultimi i vocabolari aiutano poco anche se non qualcuno dice che in fabbrica, in miniera, in redazione la persona a cui spetta l’ultimo turno di giornata – quella che spegne la luce – è appunto il “chiusurista”. Chi l’usura la chiusura, insomma. È pure di scarso aiuto pensare che il “chiusurista” sia il contrario dell’“aperturista”, che nella più profonda Prima Repubblica era un democristiano non contrario a forme di accordo con la sinistra. Ma per smetterla di fare i finti tonti, e badando al sodo, il “chiusurista” deve essere colui che è favorevole alle “chiusure”: preferisce le saracinesche abbassate, il coprifuoco, la Dad al commercio, al divertimento, alla scuola. In una parola, alla vita.
Come “alto” è bene e “basso” è male in ogni occasione o quasi (nelle gerarchie, nei voti a scuola, nelle residenze dell’Aldilà, anche se non nel livello di colesterolo), così “aperto” è buono e “chiuso” no: carattere aperto, aria aperta, ristorante aperto, braccia aperte, sorriso aperto, occhi aperti, masi chiusi. A non essere tonti veri, però, non si può evitare di notare che il vero significato di “chiusurista” è un altro, così come quello di “buonista” non corrisponde davvero a: “persona che è incline alla bontà”. “Chiusurista” non è un nome, è una parola-vignetta. È la caricatura con cui si ritrae una persona che desidera vedere le saracinesche abbassate, gli scolari davanti a tablet mal connessi, i negozi in rovina e i cittadini mortificati.
Come è di destra avercela contro “tutti gli – ismi”, così è di destra fabbricarli. Di fronte all’esigenza di chiudere se ne può discutere il grado di rischio, i pro e i contro; oppure si può provare ad attribuirla a un’oscura passione ideologica, appunto il “chiusurismo”. Se Draghi e Speranza non promettono che dopo Pasqua finisce la Quaresima e ci assembreremo smascherati è perché sono, nell’animo, “chiusuristi”.
Tecnocrazia sarebbe pensare che non ci sono alternative. Ideologia è pensare che si agisce per pregiudizi e tornaconti. Politica è scegliere cosa aprire e cosa chiudere, secondo principio di realtà e principio di opportunità. Chi combatte i mulini a vento degli “-ismi” li ha fatti sorgere per poter agitare la propria lancia contro qualcosa.