La Lettura, 28 marzo 2021
Imany fa musica per violoncello e pandemia
La meraviglia come riserva interiore, spinta a involarsi con l’immaginazione oltre il qui e ora. L’atterraggio? Ritrovarsi, senza volerlo, a trasformare un tormentone anni Ottanta, Wonderful life del cantante britannico Black, in un inno di rinascita: Imany («fede» in swahili, lingua bantu diffusa nell’Africa centrale e orientale), 42 anni, nata in Provenza da genitori originari delle Isole Comore, contestualizza il suo nuovo progetto discografico nello scenario della pandemia che ha travolto il mondo: «Un punto di svolta». Impossibile tornare indietro, l’alternativa è soccombere o risollevarsi con uno sguardo rinnovato ancora capace di sorprendersi.
In un periodo di paura e smarrimento il singolo «Wonderful life», che anticipa l’album «Voodoo Cello» in uscita a settembre, suona come un messaggio di speranza nonostante la forte precarietà che ci ha accompagnati nell’ultimo anno. Perché ha scelto di reinterpretare un brano che sembra quasi stridere con la situazione attuale?
«Il progetto dell’album ruota intorno all’idea di realizzare delle cover suonate soltanto con il violoncello. Non ho pensato subito a Wonderful life, poi mi sono ricordata di quel pezzo che ascoltavo da ragazzina e mi faceva sentire bene. Mi sembrava un giusto tributo, non avrei mai immaginato che stesse per scoppiare una pandemia. Le circostanze hanno fatto sì che la canzone riflettesse il presente, ma credo si possa leggere in tanti modi. Non so che cosa avesse in mente l’autore quando l’ha scritta... Nella strofa “Non hai bisogno di correre né di nasconderti” mi sembra che ci stia dicendo: fermati, rallenta, abbi fiducia nella vita, che andrà tutto bene... Non ti servono tutti quei beni materiali per essere felice».
Qual è l’altra interpretazione?
«Ironica. “Sì, è una vita meravigliosa...” quando in realtà non lo è. Nel riarrangiare il brano ho voluto dare questa doppia visione, a seconda di come ci si sente si può cogliere un aspetto o l’altro».
Qualche dettaglio dell’album?
«Otto violoncelli e una voce, nient’altro. Nessun artificio, zero elettronica, soltanto ciò che il violoncello è in grado di fare: uno strumento magnifico, perché a seconda di come lo suoni puoi toccare note molto alte o molto basse. Ha un suono animato, il modo in cui è stato costruito lo avvicina alla voce umana, peccato venga sottovalutato nella musica pop. Con la mia, è come se sul palco ci fossero nove voci. Volevo utilizzarlo in modo completamente diverso, il 15 luglio porteremo la nostra performance a Umbria Jazz o almeno lo spero: la band non se ne starà seduta, ma sarà libera di muoversi sul palco e danzare. Ho scelto la parola voodoo perché esprime l’arte di vedere il mondo, ciò che cerchiamo di fare noi attraverso la musica».
Dopo il grande successo di singoli come «You will never know» (2011) e «Don’t be shy» (2014), che in Italia hanno superato il miliardo di streaming, si è presa una pausa per la nascita del suo secondo figlio e adesso torna con un nuovo disco. Le donne sono state tra le più penalizzate dalla pandemia, in equilibrio tra smart working e impegni familiari, molte hanno perso il lavoro... Quali cambiamenti ritiene necessari per raggiungere la parità di genere?
«Penso che dobbiamo sederci tutti allo stesso tavolo e dialogare. Finora il femminismo ha coinvolto soltanto le donne, mentre dovremmo iniziare a confrontarci con la persona con la quale viviamo: “Ecco, io faccio questo perché la famiglia funzioni, tu cosa fai? Ho bisogno di più spazio e tempo per me stessa”. Il dibattito deve partire dal locale, per poi svilupparsi a livello globale. Si parla tanto del sovraccarico di fatica e stress che grava sulle donne, credo sia arrivato il momento di passare all’azione. Gli uomini si sentono orribili per le disparità, ma cosa stanno facendo di concreto per eliminarle?».
Da personaggio pubblico e «front woman», lei è impegnata in campagne di sensibilizzazione sul problema dell’endometriosi: perché ha voluto esporsi, mostrare la sua vulnerabilità?
«All’inizio non volevo rivelare la mia storia personale, poi mi sono resa conto che in Francia 4 milioni di donne soffrono di questa malattia e ho capito di essere parte del problema, che lo sarei stata ancora di più se avessi raccontato la mia esperienza. Mi ha sorpresa come il mio coinvolgimento sia stato recepito in modo positivo anche dagli uomini, che si sentono impotenti di fronte al dolore delle partner. Credo che la questione non sia soltanto l’endometriosi, altrimenti si rischia di cadere nel sessismo e nel patriarcato: il punto è il dolore delle donne. Conosciamo questo disturbo dal 1860, ma gli studi sono ancora limitati, se fosse stata una patologia in grado di interferire con la sessualità maschile, con il rendimento nel lavoro o nello sport di sicuro si sarebbe trovata una soluzione... l’hanno trovata con il Viagra...».
Come immagina il futuro della musica dal vivo dopo la pandemia?
«Non mi piace l’idea che si possa sostituire con lo streaming, che la gente si abitui. Bisogna trovare un modo di tornare ai concerti e ho una mia idea sulla pandemia: dovremmo tutti cercare una soluzione per vivere, nonostante il virus, invece di nasconderci per la paura di morire. Dopo un anno è chiaro che la quarantena non sta funzionando... Non si può fermare il mondo intero perché il virus attacca una parte della popolazione, bisogna insegnare alle persone ad avere fiducia nella vita, a essere attente e disciplinate».
Quale sarà il ruolo degli artisti nel processo di rigenerazione sociale?
«Sono fiduciosa che gli artisti sapranno cogliere dalla crisi un’opportunità per risollevare le persone. La pandemia potrebbe essere l’occasione di riformare il sistema sanitario, di riflettere sul riscaldamento globale che porterà nuovi virus... La natura ci ha mandato un segnale inequivocabile, dobbiamo chiedere di più ai nostri governi per sanare gli errori del passato e agire meglio in futuro».
Da ex modella, cosa pensa della «body positivity» che si diffonde sui social in antitesi al culto della perfezione?
«Molti complessi che ho oggi, dei quali sto cercando di liberarmi, provengono dal periodo in cui lavoravo come modella. Ho capito che non bisogna guardarsi troppo allo specchio alla ricerca dei propri difetti, perché è inevitabile trovarne. Dovremmo smetterla con i concorsi di bellezza e includere tipologie fisiche diverse nel cinema, nella pubblicità, in passerella: ora è di tendenza, ma dovrebbe essere la norma. Non so come, ma credo che dovremmo associare la felicità al look...».
In Italia si torna a parlare di ius soli per le seconde generazioni, da figlia di immigrati cosa ne pensa?
«Le nazioni che rimangono ancorate ai propri confini, che innalzano muri, si aggrappano a un mondo ormai vecchio. Nessuna barriera, nessun mare potranno impedire alle persone di spostarsi, perciò dovremmo trovare un modo per migliorare la nostra convivenza. L’immigrazione è inevitabile, il fatto che ad alcuni non piaccia non significa che scomparirà».