Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 28 Domenica calendario

I furti geniali di Stravinskij

«Un buon compositore non imita. Ruba». Può sembrare una freddura e in effetti ci va anche molto vicino. Ma quando Igor Stravinskij pronunciò molto candidamente questa frase di fronte al critico musicale Peter Yates – riferendosi al suo pezzo Three Songs from William Shakespeare e alla scoperta della musica di Anton Webern – non la considerava una confessione sulla sua vita di compositore, quanto una semplicissima constatazione. Una regola. Si fa così. Punto. I moralismi non vanno mescolati con la musica. La musica è un’altra cosa. «Per sua natura – sosteneva il compositore – la musica non può spiegare niente: né delle emozioni né dei punti di vista né dei sentimenti né dei fenomeni della natura. Essa non spiega che sé stessa».
Un Requiem pensando a WebernL’incontro tra il compositore e il critico avviene perché Yates sta lavorando a un libro che avrebbe pubblicato l’anno successivo per la Pantheon Books con il titolo  Twentieth Century Music («La musica del XX secolo»). Siamo nel 1967, Stravinskij è alla fine di una carriera che lo ha imposto al centro del Novecento musicale. La sua ultima opera importante sono i Requiem Canticles del 1966: una breve partitura (dura 15 minuti ed è divisa in nove parti) di inaudita complessità esecutiva. Una riflessione sulla tecnica della musica seriale di Anton Webern (1883-1945) ma con l’aggiunta della particolarissima pulsazione ritmica di Stravinskij e con recuperi di forme arcaiche. È anche il suo addio (consapevole) al mondo, un addio che va a toccare dimensioni sonore celesti, ultraterrene. Tale è la tensione del brano che, nel corso dell’incisione discografica, Vera, la moglie del compositore, non regge l’emozione e lascia la sala di registrazione. Come se avesse intuito l’addio alla vita del marito. Che nel 1969 si ammala di una grave forma di bronchite, riacutizzazione di una vecchia tubercolosi (in gioventù era stato colpito dall’epidemia della spagnola, mentre lavorava a uno dei suoi capolavori, l’Histoire du soldat del 1918). 
I balletti della rivoluzioneNel 1970 Stravinskij è invitato in Italia ma un edema polmonare lo costringe a rimanere a New York, nel suo nuovo appartamento sulla Fifth Avenue, dove muore, per una crisi cardiaca, cinquant’anni fa, il 6 aprile 1971. In Italia ci arriverà però comunque: il 15 aprile per il suo funerale – durante il quale vengono eseguiti i Requiem Canticles — che verrà celebrato a Venezia. Per sua esplicita richiesta egli giace nel settore ortodosso del cimitero monumentale dell’isola di San Michele a Venezia, in una tomba a fianco di quella del suo amico Sergej Diaghilev (1872-1929), impresario teatrale e fondatore della compagnia dei Balletti russi (Ballets Russes), che debuttarono il 18 maggio 1909 al Théâtre du Châtelet di Parigi, con un’idea di sintesi tra danza, musica, pittura e avanguardie artistiche, capace di rivoluzionare la cultura artistica del primo Novecento e diventare al contempo il punto di partenza per la carriera di Stravinskij. Che entra a gamba tesa nella storia musicale del Novecento.
La loro collaborazione è legata soprattutto ai balletti:  L’uccello di fuoco (1910) , Pe truška (1911), Le sacre du printemps (1913), Pulcinella(1920). A proposito del Sacre, Stravinskij scrive: «Un giorno, in modo assolutamente inatteso, (...) intravidi nell’immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una vergine che essi stanno sacrificando per propiziarsi il Dio della primavera».
È un ritorno al paganesimo, un abbraccio al primitivismo che rifiuta con forza gli atteggiamenti romantici del secolo precedente. Alla prima esecuzione (29 maggio 1913) il pubblico passa alla storia quasi quanto la partitura: tutti insorgono contro quella musica nuova e violenta. Il ritmo ha una forza travolgente, che sconvolge, sconcerta, Stravinskij inserisce frammenti di canti tradizionali russi, la musica – profetica – spalanca una finestra sull’abisso. Nello scorrere breve della sua durata (35 minuti) rivoluziona la storia della musica. È una partitura che ha messo una linea di demarcazione. Da quel giorno c’è un «prima» e c’è un «dopo» il Sacre. Quella sera il Romanticismo riceve il colpo di grazia. 
Attraverso gli stili e le scuoleTheodor Adorno (1903-1969) sceglierà di scagliarsi contro il Sacre in favore della dodecafonia. Secondo la sua Filosofia della musica moderna i nomi di Arnold Schönberg (1874-1951) e Stravinskij rappresentavano i due poli antitetici fra i quali si sarebbe sviluppata la musica del Novecento, il primo un progressista, il secondo un conservatore. Persino il giovane Pierre Boulez (1925-2016) nel 1945 fischiò il Sacre, senza poter immaginare che anni dopo sarebbe diventato uno degli esecutori più accreditati di Stravinskij.
D’altra parte il compositore dopo aver rifiutato per tutta la vita la dodecafonia, nell’utimo periodo stilistico della sua vita ne fa uso. Stravinskij è il simbolo della varietà e delle contraddizioni del secolo breve. Come Picasso, o forse ancora più di lui, questo compositore attraversa più fasi stilistiche percorrendo in lungo e in largo tutti gli stili: il periodo russo, quello neoclassico, esotico, dodecafonico, religioso (la Sinfonia dei Salmi del 1930 è un capolavoro). Aveva una visione del tempo come di un continuo presente e non poneva barriere epocali nelle sue scelte di stile. Nella sua concezione c’è spazio per ogni genere di musica, uno stile tende la mano all’altro, si registrano convivenze e utopie, le gerarchie possono ribaltarsi improvvisamente: si deve sperimentare, per cambiare. In questo Stravinskij è un genio, uno Zelig della musica, con gli occhiali tondi, le lebbra carnose, il baffetto appena accennato, lo sguardo indagatore. E un talento straordinario. 
Tecnica dell’appropriazioneLa sua opera è un coacervo di citazioni, «furti» (in)volontari. Stravinskij è metaforicamente l’uomo di Walter Benjamin (1892-1940) che teorizzava la stesura di un romanzo (o un racconto), fatto solo di citazioni. Il musicologo Massimo Mila (1910-1988) attribuì a Stravinskij una «tecnica dell’appropriazione» verso «ogni fenomeno di natura musicale». Individuò, cioè, quale tratto peculiare del suo stile la rielaborazione (modesta o radicale che fosse) di melodie, ritmi, moduli armonici desunti da epoche storiche e regioni geografiche tra le più disparate: riuscendo tuttavia a lasciarvi sempre la sua originalissima, inconfondibile (e geniale) impronta. Jean Cocteau (1889-1963) diceva che Stravinskij andava a «cercare nel fondo dei secoli», lavorava sul passato per creare il futuro. «Abbiamo un naso», scriveva Stravinskij. «Il naso sente l’odore e sceglie. Un artista è semplicemente una specie di maiale che cerca tartufi». Aveva, appunto, un fiuto straordinario per sincretismi, prestiti, «furti» che incastonava dentro la sua musica come tessere di un mosaico. E alla fine, nell’esplosione cromatica, non riesci più a distinguerne la singola provenienza. 
A tempo di jazz, tango, ragtime Stravinskij non è stato il primo e nemmeno l’ultimo dei compositori classici a farsi sedurre dalle sonorità e dalla libertà del jazz. A partire da Maurice Ravel (1875-1937) che disse di aver trovato il materiale per il suo (bellissimo) Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggioredel 1931 «andando a rovistare nei bidoni della spazzatura del jazz». 
Il jazz di Stravinskij è legato soprattutto a Ebony Concerto (1945), tecnicamente una specie di concerto grosso (una forma che viene dalla musica barocca e mette in dialogo una sezione di musicisti con l’intera orchestra), che ha composto per Woody Herman (1913-1987), clarinettista virtuoso e bandleader, che si era appena comprato la villa di Humphrey Bogart a Hollywood, dove si sarebbe ritirato poco dopo l’esecuzione trionfale del 25 marzo 1946 alla Carnegie Hall della partitura di Stravinskij. Tango per pianoforte solo è del 1940 ed è la prima composizione di Stravinskij in territorio americano e anche quella con il ritmo più regolare. La compose per sbarcare il lunario un anno dopo essere sbarcato in America, in fuga dalla guerra. Nel 1941 Felix Guenther fece una trascrizione del Tango in forma di jazz sinfonico approvata da Stravinskij ed eseguita da Benny Goodman. Un tango fa parte dell’Histoire du soldat del 1918.
Ragtime per undici strumenti (1918) e Piano Rag Music (1919) sono composizioni che utilizzano forme e stilemi dello stile sincopato del ragtime americano che Stravinskij scoprì grazie al direttore d’orchestra svizzero e amico Ernest Ansermet (1883-1969). La seconda composizione la scrisse per il pianoforte di Arthur Rubinstein (1887-1982), che però non la suonò mai.
Citando colleghi compositori Nel balletto Pulcinella (1920) – coreografia di Leonide Massine e Pablo Picasso per scene, costumi e sipario – per sua stessa ammissione, Stravinskij si servì di temi allora ritenuti di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736). In seguito si scoprirà che non pochi di essi erano falsi storici, dovendosi attribuire ad altri autori, contemporanei di Pergolesi. Nel concerto per orchestra da camera Dumbarton Oaks(1938), Stravinskij fa riferimento al terzo Concerto Brandeburghese di Johann Sebastian Bach (1685-1750): sia nell’inizio, in cui sono citati alcuni incisi della partitura bachiana, sia nella forma complessiva del Concerto. Sergej Prokof’ev (1891-1953) definì l’opera «Bach con note sbagliate». Sempre Prokof’ev accusò Stravinskij di plagio per L’uccello di fuoco del 1910 («Non c’è musica nell’introduzione, e se ve n’è alcuna proviene da Sadko, opera del maestro di Stravinskij, Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908)») e per Apollon Musagète, un balletto del 1928 («Il materiale è assolutamente miserando e, per di più, rubato dalle tasche più disonorevoli: quelle di Charles Gounod (1818-1893), di Léo Delibes (1836-1891), di Richard Wagner (1813-1883)». In Circus Polka (1942), la melodia della Marcia militare op. 51 n. 1 di Franz Schubert (1797-1828), tema portante della seconda parte del pezzo, è presentata quale citazione dichiarata. Nel balletto  Petruška (1911) c’è invece un furto inconsapevole: una volta divenuto popolare il balletto, si scoprì che il tema di Petruška era stato composto da tale Émile Spencer per la canzone Elle avait une jambe en bois. Stravinskij, di fronte all’evidenza, affermò che riteneva che il motivo fosse di origine popolare, anonimo, e quindi esente da diritti d’autore. Ma alla fine ebbe ragione Spencer e il compositore dovette versargli il 10 o 15% degli introiti sul brano per molti anni. C’è chi dice il 30%.