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 2021  marzo 28 Domenica calendario

Spartaco è come Totti

Spartacus come Francesco Totti. Equazione perfetta per raccontare, in estrema sintesi, la mostra Gladiatori che si inaugura (con un’anteprima digitale) il 31 marzo al Mann, il Museo archeologico nazionale di Napoli: «Questa inaugurazione è un atto dovuto, sono ormai dodici mesi che stiamo lavorando alla mostra – annuncia il direttore Paolo Giulierini —. Però non faremo vedere tutto, vogliamo lasciare qualche sorpresa per chi verrà a visitarla dal vivo, non appena sarà finita l’emergenza» (la mostra resterà aperta fino al 6 gennaio 2022). 
Centosessanta reperti divisi in sei sezioni (più una sezione tecnologico-divulgativa dal titolo Gladiatorimania) per raccontare la contemporaneità e la dimensione umana di un mito. Il cammeo con profilo di uomo con corona di fiori; l’elmo da mirmillo (i pesi massimi dei gladiatori) decorato con muse, maschere, strumenti musicali e quello da provocator (altra categoria di gladiatore) con aquila e busto di Ercole; i marmi di Psiche e dell’Afrodite vincitrice; le steli funerarie di Antigono e Peneleos; scudi, schinieri, cnemis (in pratica parastinchi), spallacci, lance, pugnali e spade: a questi reperti è affidato il compito di stabilire il contatto tra i gladiatori e il presente.

«Facevano parte della macchina dello spettacolo dell’Antica Roma – spiega Giulierini – e i più bravi diventavano idoli delle folle come i grandi campioni dello sport di oggi, soprattutto quelli del calcio». Dunque proprio come Totti (è lui con Russell Crowe, il gladiatore del kolossal di Ridley Scott del 2000, uno dei protagonisti della sezione  Gladiatorimania). Ma non solo: «Oggi, per noi, gladiatori sono anche gli uomini e le donne che, come gli operatori sanitari durante la pandemia, si battono per portare a termine un’azione importante». Scegliendo, poi, di occuparsi della vita privata dei gladiatori («dell’uomo che stava dietro l’elmo») si ritrova un’altra ragione di attualità: «Spesso si trattava di persone strappate alla propria terra, una terra in molti casi lontana, la loro tragedia è la stessa degli emigranti di oggi, la tragedia di chi deve abbandonare la patria».
Che vita era quella dei gladiatori? Secondo Giulierini «bisogna sempre distinguere come si fa tra calciatori famosi e semplici gregari». Le star, anche allora, erano molto amate dal pubblico e potevano all’occorrenza trasformarsi in  call boy o gigolò assai richiesti con cui consumare un’avventura. Verso di loro i lanistæ (proprietari delle palestre/manager) avevano particolari attenzioni, sia per quello che riguardava l’alimentazione (la dieta era fatta principalmente di cereali) che per l’organizzazione degli incontri, incontri che talvolta potevano essere truccati come nel wrestling. La vita dei gregari era, invece, tutt’altra cosa: vivevano come reclusi nella ludus, palestra-caserma dove si allenavano, mangiavano, venivano all’occorrenza curati (come testimoniano in mostra il coperchio decorato della cassetta in bronzo proveniente da Ercolano o la pinza da dentista di Pompei). Di fatto vere prigioni: ultimo rifugio, in molti casi, di «gladiatori per forza», schiavi o ex soldati che non avevano fatto carriera ma si erano fatti comunque notare per la loro prestanza fisica.
Un universo non molto diverso da quello di tanti peplum (i film storici in costume e a basso costo girati a Cinecittà), di Quo Vadis (1951), di Ben Hur (1959). Ma i gladiatori del Mann sembrano particolarmente vicini allo Spartacus (1960) di Kirk Douglas nel film di Stanley Kubrick: «Vuoi perché si svolge in parte a Santa Maria Capua Vetere, da cui arrivano molti reperti in mostra, vuoi perché Spartacus è uno schiavo della Tracia, un uomo lontano dalla sua terra, simbolo perfetto delle sofferenze che pativano i gladiatori». Categoria nata con tutta probabilità in occasione dei giochi funebri che si organizzavano in morte degli eroi guerrieri, ma di cui si ha testimonianza anche tra gli Etruschi e nelle popolazioni sannite della Campania (dalla Campania saranno poi esportati a Roma). 

A testimoniare tutto questo c’è nella prima sezione della mostra (Dal funerale degli eroi al duello per i defunti) lo straordinario Vaso di Patroclo (340-320 a.C.) decorato con scene dall’Iliade (al centro la pira fatta preparare da Achille per Patroclo). Mentre nella seconda sezione (Le armi dei gladiatori) un nucleo di armature ritrovate nella palestra di Pompei, oggi nella collezione del Mann e che avrebbero più tardi ispirato i costumi del Gladiatore di Ridley Scott. Quello delle armature sarà un allestimento diverso dal solito: «Non è stato concepito guardandole come costumi per uno spettacolo – assicura Giulierini – ma piuttosto come elementi di una quotidianità vissuta in palestra. Per questo le armature, spesso decorate con amorini, scene della caduta di Troia, trofei, delfini, tridenti saranno chiuse in armadietti, quasi si trattasse di uno spogliatoio del calcio». 
Tra i prestiti più preziosi, il grande mosaico (6,55 per 9,8 metri) dall’Antikenmuseum di Basilea, presentato per la prima volta in Italia, realizzato alla fine del II secolo per una domus aristocratica di Augusta Raurica, colonia fondata da Giulio Cesare nell’odierna Svizzera, e decorato in 5 dei suoi 6 riquadri con scene di combattimento tra coppie di gladiatori («A testimonianza delle diffusione di questa pratica nella parte occidentale dell’Impero»). E gli scheletri provenienti da una necropoli di gladiatori portata alla luce a York, in Inghilterra: resti di uomini di età differenti (tra i 20 e i 45 anni) che in alcuni casi presentano evidenti segni di arma da taglio e che hanno fornito indicazioni sul regime alimentare. Un regime quasi vegetariano con carne in quantità limitata e tanto orzo, panico, lenticchie, farro (alla caffetteria del Mann sarà anche possibile assaggiare, quando la pandemia lo permetterà, la puls, minestra di legumi e cereali amata dai gladiatori).
Con Gladiatori e arbitro III (1931) di Giorgio de Chirico si torna alla moderno: «Durante il Ventennio de Chirico aveva scelto i gladiatori come soggetti per i suoi dipinti, non tanto per celebrare il fascismo quanto perché i loro corpi disarticolati volevano essere un’implicita critica al regime». Alla contemporaneità rimandano a loro volta il Colosseo realizzato con il Lego, i gladiatori Playmobil, i videogame, i comics con Panini e quelli con Electa (che pubblica il catalogo) firmati dal fumettista Disney Blasco Pisapia. 

«Consideriamo ormai la comunità dei musei come una comunità anche digitale, per questo abbiamo puntato su un’offerta adeguata e rinnovata fatta anche di nuovi linguaggi, cortometraggi, cartoon, videogame, attenta ai bambini e alle famiglie che hanno tanto bisogno di tornare alla normalità. Ma sappiamo che la comunità fisica prima o poi tornerà: per questo abbiamo deciso di andare avanti con questa mostra». Alla quale si legherà il ciclo di peplum proiettati tutti i venerdì pomeriggio nei giardini del Mann (il terzo giardino verrà inaugurato il 30 giugno) mentre al giovedì pomeriggio ci saranno, nell’Auditorium che sta per essere riaperto, le conferenze più scientifiche. 
A dicembre l’ultime (per ora) trasformazioni: «Apriremo la sezione della statuaria campana e l’atrio diventerà una grande piazza, un salotto aperto alla città accessibile gratuitamente da cui sarà possibile, se si vorrà, andare a ritrovare i tesori della collezione, a cominciare dal Toro Farnese — conclude Paolo Giulierini —. Così il museo diventerà una grande casa accogliente, un modo per riportarlo alla grandezza degli Anni trenta». Cosa si aspetta? «Ci sono già molte prenotazioni a partire da giugno, specialmente dai Paesi dove la vaccinazione procede più velocemente. Forse il buio sta passando».