La Lettura, 28 marzo 2021
Il libro di Kawaguchi è un ristorante vegano
Chi è il recensore più bravo del reame? Esclusi i presenti, senza dubbio Dwight Garner, il cinquantaseienne book critic del «New York Times», la cui moglie è, tra l’altro, autrice di bestseller culinari (la cosa, come vedremo, ha una sua importanza). Garner è così bravo che Stephen King gli rende omaggio nel suo nuovo romanzo (Later). Tra i personaggi del romanzo di King (attenzione spoiler sulla prossima Pagella: un capolavoro!) c’è Regis Thomas, autore di polpettoni a base di avventura e sesso un tanto al chilo. King si inventa una recensione di Garner a Thomas: «Lo stile faticoso e insipido è quello tipico di Thomas: grosso modo, l’equivalente di un buffet all you can eat in un ristorante di dubbia qualità» (e così si capisce perché il mestiere della moglie non è estraneo al modo di scrivere di Garner). Come recensirebbe Garner Finché il caffè è caldo del giapponese Toshikazu Kawaguchi? Me lo sono chiesto quando, a proposito del caso editoriale Kawaguchi, la lettrice Adele Usiglio Radice mi ha scritto: «Mai annoiata tanto. Ho dovuto impormi di finirlo. Me ne dica pure di tutti i colori». Finché il caffè è caldo racconta la storia di Fumiko Kiyokawa, che parla sei lingue, ha movenze da pop star ed è «l’emblema della donna in gamba e votata alla carriera». Fumiko è stata abbandonata dall’uomo che ama, «un ingegnere dei sistemi» (a volte più che un romanzo sembra un curriculum), e decide di riconquistarlo. In che modo? Facendo un viaggio all’indietro nel tempo grazie a una caffetteria magica che offre questo formidabile servizio (e, infatti, la gente fa la coda per usufruirne). Secondo me, Garner lo recensirebbe così: «Il romanzo di Kawaguchi non somiglia a un buffet all you can it ma, piuttosto, a uno di quei locali vegani dove non c’è niente da mangiare». Poi, siccome Garner è una miniera di citazioni finirebbe così: «Kawaguchi mi ha fatto tornare in mente la famosa battuta di Lacan: “I giapponesi non hanno l’inconscio”».