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 2021  marzo 28 Domenica calendario

12/4/1961: il volo di Gagarin; 12/4/1981: il volo dello shuttle

«Poyekhali», partiamo, disse Yuri Gagarin appena il razzo si alzò dalla rampa. Un visore davanti agli occhi gli mostrò la zona sorvolata. «Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini», commentò appena giunto in orbita, a 300 chilometri d’altezza. Il 12 aprile 1961 il giovanissimo pilota di caccia dell’aviazione sovietica entrò a 27 anni nella storia compiendo un giro intorno alla Terra in 108 minuti sulla navicella Vostok-1 con il nome in codice «Cedro». Iniziava 60 anni fa l’esplorazione umana dello spazio. Vent’anni più tardi, nello stesso giorno, 12 aprile 1981, un altro balzo storico fu compiuto con lo shuttle della Nasa.
Gagarin fu il frutto della guerra fredda tra Mosca e Washington e la sua partenza, dopo il lancio dello Sputnik, fu il passo più eclatante per dimostrare la superiorità del sistema comunista rispetto al mondo capitalistico occidentale. Sergei Korolev, costruttore del missile e della navicella, sognava lo spazio; Nikita Krusciov, il leader del Cremlino, inseguiva nelle imprese cosmiche oltre allo sviluppo di potenti mezzi militari anche un efficace strumento per sottolineare le straordinarie capacità sovietiche. Dalla fusione dei due interessi, la storia favorì la nascita della nuova frontiera spaziale.

A scegliere Gagarin si diceva che fosse stato lo stesso premier Krusciov guardando le fotografie dei candidati sottoposte da Korolev. «Ho sentito questa storia – mi disse Sergei Krusciov, ingegnere e figlio del premier in un incontro a Providence, negli Stati Uniti, dove si era trasferito – ma era solo una delle tipiche fandonie che nascono intorno ai grandi eventi. La scelta fu degli esperti. Mio padre invece orientò la data del lancio. Korolev aveva proposto la partenza per gli ultimi giorni di aprile in coincidenza con la data del primo maggio, festa del lavoro. Mio padre si oppose e gli disse di anticiparla o di rinviarla. Aveva nella memoria la tragedia accaduta sei mesi prima a Baykonur, il disastro Nedelin. E non voleva trovarsi davanti un’altra tragedia proprio in una ricorrenza così importante».
Arrivare al primo volo umano non era stato facile. Fra i tremila candidati reclutati nelle basi dell’aviazione militare vennero selezionati venti cosmonauti. «Nessuno sapeva perché venivamo selezionati», racconta ora a «la Lettura» Boris Volynov, compagno di Gagarin nel primo gruppo dei fortunati.

Oggi, a 87 anni, Volynov parla con orgoglio dei giorni lontani e dell’amico con cui aveva condiviso l’avventura. Continua: «Eravamo sottoposti a test faticosissimi. Valentin Bondarenko morì bruciato vivo durante una prova nella camera pressurizzata e lo stesso Gagarin nella centrifuga rischiò di rimanere invalido. Conoscevamo i rischi ma li accettavamo pensando al volo nello spazio. Tra noi non c’erano gelosie, sapevamo di essere protagonisti di un’impresa collettiva, anche se ognuno avrebbe voluto essere il primo. Non sono rimasto stupito quando venne preferito Gagarin; era meticoloso, aveva una straordinaria comunicativa e rappresentava bene il nostro Paese. Con gli americani non sentivamo concorrenza: ognuno coltivava i propri segreti».
Il confronto tra Mosca e Washington era sempre più acceso. Qualche mese dopo lo storico volo, a Berlino venne eretto il muro che avrebbe diviso la città tedesca fino al 1989. E John Kennedy, appena insediato alla Casa Bianca, per riconquistare la supremazia perduta annunciò il piano per sbarcare sulla Luna. Lo stesso obiettivo era inseguito dai sovietici senza successo.
Al di là della grande impresa, la vita di Gagarin fu tumultuosa, esaltante, ma si concluse presto in tragedia. Girò il mondo come eroe dell’Unione Sovietica: al termine delle esibizioni si lasciava andare ai piaceri della vita inseguito dai rimproveri dei superiori. Diventò un simbolo, anche per questo gli impedirono di volare. Quando salì di nuovo a bordo di un Mig fu la fine. Il 27 marzo 1968 il jet su cui volava assieme al pilota Vladimir Seryogin precipitò dopo pochi minuti. Le ripetute inchieste descrissero l’accaduto ma lasciarono molti dubbi. «Ho partecipato io stesso alle simulazioni dell’incidente – spiega con amarezza Volynov – ma con precisione non s’è mai capito che cosa fosse successo».

Fu in quegli anni che il confronto tra le due superpotenze cominciò ad affrontare anche il sogno dell’astronautica: la costruzione di navicelle in grado di andare e tornare dal cosmo. E di nuovo, come già al tempo della conquista della Luna, gli Stati Uniti dimostrarono la loro superiorità facendo volare il primo shuttle il 12 aprile 1981.
Battezzato Columbia, il primo veicolo riutilizzabile della Nasa si alzò da Cape Canaveral, in Florida, ai comandi di Robert Crippen e John Young, astronauta-mito per aver volato anche due volte verso la Luna. Columbia ruotò intorno alla Terra per due giorni e atterrò nella base californiana di Edwards.
«Essere riusciti subito a compiere una missione completa senza prima altri test è stata una grande conquista della tecnologia spaziale», nota Roberto Vittori, pilota collaudatore, generale dell’Aeronautica militare italiana e astronauta dell’ultima vera missione shuttle, la centotrentaquattresima, nel maggio 2011 su Endeavour. La successiva portò solo rifornimenti. «Il tallone d’Achille – aggiunge – erano i due razzi usati al decollo, che avevano sostituito un veicolo riutilizzabile al quale doveva essere aggrappata nella prima fase della traiettoria poi abbandonato per tagliare i costi. A bordo generavano vibrazioni fortissime e il primo disastro avvenne proprio a causa di uno di questi razzi. Autentici geni erano stati invece i progettisti, che avevano concepito i computer di bordo alla guida dell’intera spedizione. Ma con un limite: non riuscivano a gestire le eventuali posizioni asimmetriche del veicolo. Avvenne durante il rientro nel 2003, dopo la lacerazione dell’ala al decollo, che Columbia si disintegrò nel cielo del Texas».

In quarant’anni di spedizioni lo shuttle ha consentito operazioni altrimenti impossibili: dal lancio del telescopio spaziale Hubble alla sua riparazione fino alla costruzione della stazione spaziale internazionale. Con lo shuttle hanno viaggiato 852 astronauti, russi compresi, segnando un nuovo corso nei rapporti tra Mosca e Washington dopo il crollo del comunismo. Un crollo che ha trascinato pure lo shuttle Buran (palla di neve) che gli ingegneri russi hanno realizzato compiendo un unico volo nel 1998 senza uomini a bordo, poi abbandonato negli hangar di Baykonur.
Anche lo shuttle della Nasa, dopo due tragedie, ha chiuso la sua storia. È stato una conquista dell’ingegneria e un fallimento economico (775 milioni di dollari ogni lancio) rivelandosi una straordinaria macchina volante che ha anticipato (troppo) i tempi.