Robinson, 28 marzo 2021
Graham Greene odiava tutti i suoi romanzi
Non fu vera gloria. Non per lui almeno. Graham Greene disse di sé: «Ho fatto qualcosa, ho fallito molto». Pubblicò 54 libri, ne amò due e mezzo: Il potere e la gloria, In viaggio con la zia e in parte Un americano tranquillo. Non è un caso non si sia riconosciuto in quelli che lo hanno tirato fuori da guai: L’uomo dentro di me che gli consentì l’esordio ( annunciato da questa epigrafe: «C’è un uomo dentro di me, arrabbiato con me»), Il nocciolo della questione e Il terzo uomo che lo resero ricco e famoso e neppure Fine di una storia, romanzo acclamato, più volte reso film, celebrato come compimento del suo inedito percorso «dall’adulterio alla santità». Se è vero che Graham Greene cercò invano il suo personaggio più elusivo, se stesso, lo è altrettanto che ne trovò le tracce, ne ricostruì il movente e il modus operandi. Gli sfuggì il senso di tutta l’avventura, ma chi mai lo ha colto? Rifiutò titoli e onori, tentò più volte il suicidio, rimediò al male di vivere con la scrittura e i viaggi. Non guarì mai. Che cosa veramente lo affliggeva? Si direbbe, due cose: la sindrome dell’impostore e la legge del contrappasso.
Graham Greene non è mai stato né mai è diventato quel che avrebbe voluto. Di conseguenza non si è riconosciuto, si è nascosto agli altri e a se stesso, in maniera professionale. Poteva fare l’attore o lo scrittore: scelse la seconda strada. Quasi inevitabilmente ci aggiunse la collaborazione con i servizi segreti. Fu un bambino sicuro e privilegiato che avrebbe desiderato crescere senza protezione alcuna e soffriva di tremendi incubi, evocati per stanarlo dal comodo rifugio. Il bravo studente combatteva la depressione tagliandosi.
Si convertì al cattolicesimo per amore prima e per convinzione poi, ma scrisse libri che la Chiesa condannò; esaltò, anziché il “prete grasso” che lo battezzò, quello alcolizzato e ai margini che chiamò “padre whisky” facendone un anti- eroe; finì per attaccare apertamente un Papa, Giovanni Paolo II, che si era schierato contro la teologia della liberazione. Si consegnò alla vita familiare, a una moglie cui dedicava i suoi primi libri, ma coltivò ogni forma possibile di adulterio, dalla frequentazione dei bordelli ( voleva aprirne uno in Sierra Leone usando le prostitute per ottenere confidenze) a quella di numerose amanti. Che si cimentasse con lo spionaggio fu una conseguenza naturale. Come lo fu la sua difesa di Kim Philby, suo capo nei Servizi, in realtà da sempre comunista e votato alla causa sovietica. Ne capiva, più ancora che l’idealismo, la natura controversa, il doppiogiochismo come espressione del sé, l’apparentemente illogica scelta di entrare a far parte del mondo che si rigetta per distruggerlo, fuggirne ad ogni possibile occasione portando con sé soltanto il senso di colpa. Lo chiamò Il fattore umano. Fu l’ennesimo grande romanzo che non riuscì ad amare. Forse temeva, l’avesse fatto, di danneggiarlo.
Era sempre in agguato per lui la legge del contrappasso. Ogni fine raggiunto andava pagato con il doppio della felicità ricevuta. In questo senso esemplare la Fine di una storia. Lei prega per la salvezza dell’amante e fa voto di rinunciarvi se fosse ancora vivo. Esaudita, mantiene la promessa. Paga la felicità con la perdita, i due destini si annullano e niente resta. Dov’è la gloria? Dove l’appagamento? Quando Graham Greene ottiene il successo scopre che non gli dà la gioia presunta, non calma l’inquietudine, non vince la noia.
Nel pericolo, a salvarlo non sono le sue doti, ma i suoi difetti: scampa a un bombardamento perché si trova, anziché nel suo studio, a casa della donna con cui tradisce la moglie. Quando accumula una fortuna perde tutto per aver affidato il patrimonio a un truffatore. Non è forse quel che desiderava: sbarazzarsi dei soldi accumulati con opere che non apprezzava?
La fede non lo libera, anzi lo imprigiona in una spirale di aspettative tradite, impegni non onorati, dilemmi di coscienza e su tutto aleggia l’ombra del peccato. Grava il sospetto che la gloria umana sia nel compimento di una missione ordinaria e universale, che la redenzione sia nell’annullamento di fronte all’altro e alla storia e che questo proprio non fosse in suo potere.