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 2021  marzo 28 Domenica calendario

I racconti di Dorothy Parker

Strepitosi. Non c’è aggettivo più moderato per definire i racconti di Dorothy Parker pubblicati da Astoria editore nella traduzione di Chiara Libero e con una prefazione di Natalia Aspesi. Parker nacque come Rothschild nel 1893 in una casa dell’Upper West Side di New York. Non era parente dei famosi banchieri e portava con disagio il cognome: appena poté adottò quello del (primo) marito, con tutta probabilità sposato proprio per questa ragione. Ebbe una vita, come dire, esuberante e fitta di ironici colpi di scena. Ha scritto poesie, racconti, sceneggiatura, testi umoristici.
I racconti racchiusi in questa raccolta dal titolo Tanto vale vivere, usciti fra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso, sono strepitosi per molte ragioni. La prima è che sin dalle prime righe Parker ci lascia chiaramente intendere come la faccenda andrà a finire, o come resterà tal quale (spesso succede poco), eppure li si divora riga dopo riga. Li si legge letteralmente con il fiato sospeso, anche quando c’è ben poco da aspettarsi – dai personaggi, dalla situazione.
«Una telefonata», ad esempio: in queste pagine non succede nulla. Anzi, è proprio il fatto che non succeda nulla il deus ex machina della storia: «oh Dio, non prendere la mia preghiera come una cosa di nessuna importanza. Te ne stai lassù, tutto bianco ed eterno, circondato dagli angeli mentre le stelle Ti scivolano accanto. E io mi rivolgo a Te per una telefonata. Ah, non ridere, Dio, vedi, Tu non sai come ci si sente. Tu sei al sicuro, là sul Tuo trono, con il cielo che turbina sotto di Te. Nulla Ti può turbare; nessuno può spezzarti il cuore così, con due dita. Questa è sofferenza, Dio, questo è vero, tremendo dolore». La telefonata attesa, sperata e temuta non arriverà, ovviamente. Eppure, il lettore si trova sin dal primo capoverso sospeso fra una solidarietà sempre più stremata verso la povera protagonista/vittima e la tentazione di riderle prepotentemente in faccia.
È questo che succede in tutti questi racconti: si compatisce e si spera insieme ai personaggi e alle loro inaccettabili traversie, ma al tempo stesso non si può fare a meno di condividere lo spietato sarcasmo con cui l’autrice tratta tutti indiscriminatamente.
Uno dei racconti più feroci è certamente «Il meraviglioso Vecchio Signore». Qui più che mai Parker si accanisce con i poveri Bain, coniugi di mezza età cui è toccato prendersi cura del padre/suocero morente, si accanisce con il (quasi) caro estinto, e ovviamente con la perfida Mrs Whittaker, la sorella/cognata ricca. Il racconto è una sequela di ingiustizie e meschinità, ma forse la cosa più cattiva è la descrizione del salotto dei Bain: un insieme di Perec, Gozzano e Pulp Fiction.
Molto spesso per non dire quasi sempre al centro della storia c’è una figura femminile – che però non è mai completamente vittima, mai completamente svampita. Sono personaggi sempre un po’ ambigui, e per questo quando fanno qualcosa spiazzano il lettore, lo mettono nella condizione di sgranare gli occhi e scuotere il capo. Hazel Morse, ad esempio, l’indiscussa protagonista del celebre «Una bella bionda». È una povera crista o una dannata? Chissà. Fa molte cose inconsulte, distruttive. Eppure sembra godersi la vita: «Sulla ventina, dopo la morte lenta e sofferta di sua madre, una vedova incolore, aveva trovato lavoro come modella in una ditta di abbigliamento all’ingrosso. Erano ancora i tempi in cui andavano le donne ben messe, e lei aveva bei colori, bel portamento e petto alto». Non è il caso di svelare troppo della vita di questa «bella bionda», ma quel che si può certamente dire è che nel corso della storia ne vedrà di tutti i colori. E con lei anche noi lettori.
Parker è stata una scrittrice dal talento straordinario. Minimalista ante litteram, stand up comedian sulla pagina, maestra di vita e parole. La cosa incredibile è che leggendo questi racconti si ha ovviamente la chiara percezione di un mondo passato – non a caso Tanto vale vivere esce per i tipi di Astoria nella collana «Vintage». Queste donne di Parker sono decisamente d’altri tempi: ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora. Il mondo è cambiato ed è cambiata assai la condizione femminile. Queste mogli che passano per il salotto spostando vasi di fiori e suppellettili perché tutto sia in armonia ora che il marito rientri a casa dal lavoro non esistono (quasi) più.
Eppure... Eppure l’altra grande dote di questi racconti è che, leggendo, a poco a poco si insinua la scomoda sensazione che tutto possa ancora essere così. È come un tarlo, questa consapevolezza che la condizione umana e specificatamente femminile di cui parla Parker sia eterna. Che queste storie, già, riguardano tutti e tutte noi. Che potremmo essere noi, quelli di «Che bel quadretto» o «Un cuore tenero»... E forse proprio qui, piuttosto che nello stile asciutto e nello sguardo penetrante che Parker riserva ai suoi personaggi, che sta la sua tremendamente caustica ironia. Nel fatto che questi racconti sono senza tempo, e lei lo sapeva benissimo mentre scriveva. Ma è anche vero che in fondo questo sarcasmo dominante è un sollievo per tutti, tanto dei personaggi quanto di noi lettrici e lettori. Per meglio dire, una risata (a denti stretti), ci seppellirà. —